Cibo e cancro, quando la bufala arriva in tavola

Lo dice chiaramente il sito dell’AIRC, l’associazione italiana per la ricerca contro il cancro: «Nessuna malattia come il cancro è oggetto di miti e credenze, superstizioni e informazioni falsate. Questo perché per molti anni su questo tema l’informazione per il grande pubblico ha preferito sorvolare, dato che l’argomento suscitava timore. E così dietro espressioni come “malattia grave”, “male incurabile” si è creato un mondo di disinformazione, di convinzioni sbagliate e talvolta anche potenzialmente pericolose per la salute dell’individuo». Come logica conseguenza, le fake news si sono inserite nel dibattito sulla materia, con molti consigli che hanno riguardato anche i “corretti” stili alimentari suggeriti dall’eminentissimo Dottor Google.

E così diverse assurdità pseudo-scientifiche si diffondono e propagano un senso di sfiducia e timore non solo verso la medicina, ma anche verso ciò che troviamo nei nostri piatti, molto spesso condividendo grosse imprecisioni e falsità: scopriamo così l’aloe come efficace metodo anti-tumorale, che latticini e carni rosse sono pericolosissimi e che il bicarbonato di sodio ha la stessa capacità curativa della chemioterapia. Non è proprio così.

Enrico Breda, oncologo del Fatebenefratelli di Roma, mette le cose in chiaro: per rendere cancerogeno il latte “bisogna prenderlo in quantità tali, e per un periodo di tempo talmente lungo, che non vale la pena rinunciarvi. Lo stesso vale anche per le carni rosse”. Discorso simile riguarda l’alcool, perché solo un consumo elevato comporta rischi, e “un bicchiere di buon vino non ha mai fatto male a nessuno”. Sui rimedi alternativi alla chemio, Breda è categorico: “Non si può dire che l’aloe sia una cura. Il bicarbonato? È difficile che possa essere usato come cura anticancro”.

Lucilla Titta, dell’Istituto Europeo di Oncologia, estende questa riflessione: “La disinformazione sul tema della correlazione tra alimentazione e tumori è difficilmente quantificabile dal punto di vista numerico. Ma chiunque abbia un profilo social può verificare quante informazioni pseudoscientifiche si possono trovare in rete. Circa il 50 per cento del campione si rivolge a medici specialisti, mentre l’altro 50 si informa sul web o attraverso i media”. La verità, dice Titta, è che “non è mai un elemento unico a scatenare la malattia. Il cancro è una patologia multifattoriale, e molti fattori possono incidere, come la predisposizione genetica, lo stile di vita, il tipo di alimentazione, l’esposizione a inquinanti”.

Mettere in discussione i benefici del nostro cibo, analizzando presunti e infondati dubbi sulla loro cancerogenicità ha come conseguenza il danneggiamento delle nostre coltivazioni e mette a rischio i nostri stili alimentari. Rolando Manfredini, responsabile della sicurezza alimentare di Coldiretti, sottolinea come “tre italiani su quattro sono preoccupati degli effetti del cibo sulla salute anche a causa delle fake news”. Secondo Manfredini poi, il 53 per cento degli italiani ha fatto ricerche su internet per raccogliere informazioni sulla qualità dei prodotti alimentari. L’indagine condotta da Coldiretti, infine, mette in evidenza come il 25 per cento del campione partecipi a community, blog o chat incentrate sul cibo, che influenzano le scelte di acquisto in modo non sempre corretto.

La condivisione di queste notizie, che nel processo di sharing ottengono maggiore credito, porta Andrea Grignolio, professore di Storia della medicina alla Sapienza Università di Roma, ad analizzare come “i pazienti sono sempre più consapevoli e desiderosi di avere un ruolo attivo nelle terapie, così come alla disponibilità delle informazioni mediche, un tempo appannaggio dei soli esperti”.

“Molti si chiedono – spiega Grignolio – perché le persone tendano a fidarsi più di internet che del medico: oltre ad essere facilmente consultabile, è libero ed essendo tale tutti possono usarlo per scrivere qualsiasi cosa. Il problema è che in campo medico non esiste democrazia”. Eppure “non è raro vedere programmi televisivi dove scienziati si confrontano con ciarlatani e complottisti che sostengono la validità di cure alternative, tentando di sfruttare sentimenti populisti, di ottenere click e like a scopi pubblicitari e remunerativi, a scapito dell’autorevolezza delle istituzioni medico-scientifiche”.

La soluzione alla disinformazione è combatterla nei suoi stessi terreni, come spiega Titta: “Per arginare il problema in ambito alimentare, medico e scientifico già sono state avanzate molte ipotesi. La più condivisa è la contro-narrazione: utilizzare gli stessi canali (social network, chat e forum) con cui vengono diffuse le fake news, per dare indicazioni autorevoli e scientificamente condivise, facendo sì che quegli spazi non siano occupati solo da fonti non autorevoli”.

Proprio nel novembre 2017 si è diffusa la notizia di una donna di 65 anni che ha cercato di curare il proprio tumore al seno perdendo circa 30 chili di peso ed utilizzando l’argilla come antinfiammatorio, secondo la sconsiderata idea per cui “se affami il corpo, affami il cancro”. Per evitare che altre fake news condizionino ancora la nostra vita, sono molte le proposte messe in campo: “Per quanto riguarda nello specifico l’Italia – puntualizza Grignolio – qualche settimana fa la presidente della Camera Laura Boldrini ha presentato il progetto I dieci comandamenti dell’era digitale, un programma che coinvolgerà 8.000 studenti con l’obiettivo di educare le nuove generazioni a riconoscere le bufale e le teorie cospirative.  La maggior parte delle iniziative di debunking saranno rivolte ai più piccoli”.