Diritto d’autore musicale, il monopolio Siae è finito. O forse no

Il monopolio Siae è finito perché esistono Soundreef e Patamu a contendergli il mercato. Oppure no, non è finito, perché le leggi in realtà ancora mantengono il mercato bloccato. Due affermazioni forse vere entrambe, considerata la complessità della situazione nel campo del diritto d’autore nel nostro Paese e in Europa.

La fine del monopolio è stata trionfalmente proclamata lo scorso 16 gennaio da Davide D’Atri, amministratore delegato di Soundreef. La dichiarazione è stata resa durante una conferenza stampa tenuta insieme a Fedez, artista che da tempo si fa tutelare da questa società. D’Atri dichiara tale vittoria in virtù della fondazione di Lea (acronimo di Liberi Editori ed Autori), società che raccoglierà i proventi dei diritti musicali per conto di Soundreef.

Può sembrare strano che una società che gestisce diritti musicali debba affidarsi a un’altra società per raccoglierne i proventi. Eppure in Italia succede. Ciò è dovuto ad una tortuosa applicazione da parte del governo Gentiloni della direttiva Ue 2014, a firma dell’ex commissario per la concorrenza Michel Barnier (oggi capo negoziatore Ue per la Brexit). La direttiva Barnier ha chiesto agli Stati membri dell’Unione Europea di liberalizzare il mercato della tutela dei diritti d’autore.

L’ultima legge di stabilità italiana prevede alcune norme che applicano, in maniera secondo alcuni discutibile, tale direttiva. Il parlamento ha deciso che gli enti di gestione indipendente dei diritti (Egi) come Soundreef, che sono per definizione a fini di lucro, non possano riscuotere direttamente. Per farlo, devono stringere un accordo con un organismo di gestione collettiva (Ogc), che secondo la nostra normativa non può essere a scopo di lucro. Lea nasce proprio come Ogc “all’italiana”, e ha stretto un accordo con la Egi Soundreef per riscuotere a nome di quest’ultima i diritti. Le operazioni della società D’Atri sono così diventate del tutto legali in Italia. Durante la conferenza stampa del 16 gennaio è intervenuto su questo tema Guido Scorza, l’avvocato di Soundreef. Scorza ha definito l’interpretazione italiana della direttiva Barnier “molto originale”, usando un eufemismo.

Peraltro Lea appare sostanzialmente come una creazione dalla stessa Soundreef. Presidente di Lea è lo stesso avvocato Scorza. Nel Consiglio di sorveglianza, inoltre, troviamo Roberto D’Atri, presumibilmente parente di Davide. Soci fondatori la Soundreef Publishing, i musicisti Federico Camici, che si occupa della comunicazione in Soundreef, e Adriano Bono, musicista tutelato dalla stessa società di Davide D’Atri. Il quale, come ha spiegato a Lumsanews, crede che l’obiettivo di Soundreef sia di poter fornire il massimo dell’efficienza possibile ai propri artisti, qualunque siano le condizioni di legge.

Né Adriano Bonforti, ad di Patamu, né Gaetano Blandini, direttore generale di Siae, credono che il monopolio sia stato realmente abbattuto. Le ragioni che adducono sono però del tutto diverse. Bonforti spiega a Lumsanews che non è affatto convinto che in Italia si sia applicata correttamente la direttiva Barnier. Da parte sua Blandini, anche lui da noi intervistato, ritiene invece che il monopolio Siae è sostanzialmente ancora in vita data la natura di Soundreef e Patamu. La prima opera a suo dire eludendo la legge, la seconda in una maniera “artigianale” che non permette di configurarla come vera e propria società d’intermediazione. Contro Soundreef, inoltre, scaglia molte altre critiche.

Dubbi sulla liberalizzazione sono stati espressi da vari studiosi. Già Mario Monti nel 1996, nelle vesti di Commissario UE al Mercato Interno, segnalava che in questo settore la concorrenza provoca un aumento di costi per società di gestione e consumatori, a discapito dei redditi degli autori. Anche negli Usa le linee guida del Copyright Office del 2015 hanno evidenziato al governo il problema dell’anarchia creatasi dal loro proliferare. Rendicontazione e riscossione diventano infatti più difficili se un artista suona in un concerto canzoni proprie tutelate con un ente oltre a cover tutelate da un altro ente. Oppure se una discoteca fa sentire tante canzoni tutelate da più società.

E ancora più complessa è la situazione di una canzone che viene scritta da tanti autori che sono tutelati da più enti, come per esempio nel caso di Vorrei ma non posto. Il testo del pezzo è stato scritto da J-Ax e Fedez, tutelati da Soundreef, mentre la musica è stata composta da autori iscritti alla Siae.

La prima immagine mostra come la canzone Vorrei ma non posto sia depositato nel repertorio Soundreef a nome di Alessandro Aleotti e Federico Lucia (nomi reali di J-Ax e Fedez). La seconda, presa dall’archivio delle opere Siae, attesta come i diritti vengano pagati anche ai compositori, ancora iscritti al colosso pubblico (che però non paga J Ax e Fedez, che risultano non iscritti)

Ma come si potrà impedire agli artisti di scegliere liberamente a chi affidarsi? E agli imprenditori di provare ad accontentarli con offerte tra loro concorrenti? Citando Bob Dylan, la risposta è nel vento.

Forse saranno gli stessi artisti e/o gli utilizzatori dei loro diritti a chiedere un ente centralizzato e unico come il monopolio Siae, se un giorno tanti di loro si dovessero rendere conto che la frammentazione di questi enti non è nel loro interesse. Un’altra possibilità, al fine di rendere il mercato agibile, potrebbe essere la creazione di un ente unico per la riscossione dei diritti che si occupi poi di corrisponderli alle rispettive società che li gestiscono. Una separazione tra rete e attori del mercato che si è fatta già in altre liberalizzazioni e che potrebbe essere utile anche in questo caso. Su questa possibilità D’Atri e Bonforti concordano.

Per chiudere, ecco una panoramica delle offerte delle tre società italiane di tutela dei diritti musicali.

*In seguito alla pubblicazione del presente articolo, l‘ufficio stampa di Soundreef ci ha fatto sapere che a loro avviso la percentuale richiesta da Siae è, nei fatti, maggiore del 5% rispetto a quanto riportato nella tabella sovrastante per via di un “contributo cultura” che la Siae stessa richiede agli artisti. Siae in merito precisa che il contributo cultura è una possibilità prevista anche dalla direttiva e serve a promuovere i giovani artisti; l’importo finisce esclusivamente agli associati”

Si ringrazia Angela Nicolazzo, laureanda in Scienze economiche con una tesi sul tema, per la collaborazione offerta durante le indagini condotte per la scrittura di questo testo.