Italiano, la parabola stanca di una lingua in crisi

La lingua italiana sta bene, gli italiani che la usano o la dovrebbero usare correttamente un po’ meno. Per capirlo, basta consultare i dati Ocse 2017 che analizzano la capacità di comprendere un testo scritto nella propria lingua. Esaminando un campione di persone tra i 16 e i 65 anni in 64 Paesi, risulta che gli italiani sono ultimi nella comprensione di un testo e penultimi nel risolvere problemi di matematica.

L’ignoranza deriva in parte da un eccessivo senso di sicurezza: la maggior parte delle persone selezionate non consulta il dizionario e, fatta eccezione per i ragazzi che devono leggere libri scolastici, non si studiano nemmeno più i testi utili per arricchire il lessico. Ne consegue che il 20% della popolazione non va oltre il cosiddetto “Italiano base”. I dati raccolti dall’Ocse sono allarmanti, perché gettano luce su un fenomeno che coinvolge non solo le scuole elementari e medie, ma coinvolge spesso anche l’università.

La scuola. L’italiano viene spesso sbandierato come la disciplina centrale nella nostra scuola ma, di fatto, non viene coltivato come tale. Manca infatti la cognizione che la lingua prima serva all’individuo per sviluppare le sue competenze cognitive. La scrittura nella scuola primaria, ormai modernizzata, viene insegnata in modo sempre più approssimativo. Una condizione dovuta sia alla convinzione che ormai sia utile solo la scrittura elettronica, sia al desiderio dei docenti di “andare oltre” l’insegnamento della grammatica standard, puntando sul nozionismo di altre discipline, come le lingue straniere.

Molto dipende anche dalle attese che hanno le famiglie nei confronti degli insegnamenti primari, soprattutto l’idea che, per permettere ai propri figli di trovare lavoro all’estero, sia fondamentale dedicare molte ore all’apprendimento della lingua inglese.

L’Università. Per quanto riguarda gli indirizzi di studio universitari scelti dai ragazzi italiani, quest’anno si registra un cambio di tendenza: spiccano materie umanistiche, scienze sociali, giornalismo e informazione, con il 30% degli iscritti, seguite dalle discipline scientifiche, con il 24% delle iscrizioni. Tuttavia il livello di istruzione universitaria è tra i più bassi dell’Unione europea, con solo il 18% di laureati. Livelli forse causati dal basso tasso di occupazione e di retribuzione dei giovani laureati, inferiore del 21% alla media Ocse per gli uomini, del 35% per le donne.
Arrivano puntuali le lamentele dei docenti universitari, che denunciano la mancata preparazione degli studenti nella realizzazione di tesi di laurea, così come i marchiani errori di grammatica trovati nei testi di diversi concorsi pubblici. Tra i casi più eclatanti, l’esame per l’ingresso in magistratura.

Le iniziative. Anche per questo scendono in campo i linguisti. Giuseppe Antonelli, ex conduttore su Radio 3 del programma “La lingua batte”, ha curato una nuova collana del Corriere della Sera in edicola dal 20 settembre.

Biblioteca della lingua italiana sarà una serie di 25 volumi sull’uso dell’italiano. “Prima lezione sul linguaggio” di Tullio de Mauro, il primo volume ad essere uscito, potrà fornire una guida che aiuterà il lettore a capire i modi e gli effetti di come parliamo, nel tentativo di arricchire le nostre espressioni quotidiane. I tanti odiati “classici”, fatti studiare tra i banchi di scuola, diventano la Bibbia del sapere e della grammatica anche per la nuova collana di Repubblica. L’italiano. Conoscere e usare una lingua formidabile, con i suoi 14 libri firmati da studiosi e ricercatori scelti dall’Accademia della Crusca, farà il punto su ciò che si muove nel mondo della comunicazione.

Anche Sky Arte, con una trasmissione in onda fino al 30 settembre, sta regalando una serie di interessanti “Pillole” realizzate in collaborazione con la casa editrice Zanichelli, in occasione del compimento dei cent’anni dello storico vocabolario. Tutti i giorni un volto noto del cinema, dell’arte, del giornalismo, dello sport e della cultura in genere si cimenta in una “definizione d’autore”, in onda alle 21,10, e anticipata attraverso i social del canale durante il pomeriggio.

I pareri. Le riforme infinite della scuola, che sono state fatte in questi ultimi decenni, si sono risolte in un abbassamento sostanziale del livello della formazione. Si colgono dei segnali allarmanti se si pensa alla proposta di diminuire le ore di italiano insegnate nei licei e forse anche la sottrazione di un anno nella scuola superiore.

Segnali rischiosi anche nel provvedimento della ministra Fedeli di introdurre l’uso degli smartphone nelle classi. “Dobbiamo sicuramente modernizzarci, ma per quanto riguarda lo sviluppo delle capacita linguistiche non si può prescindere da ciò che ci dicono le scienze del linguaggio”, spiega in un’intervista a Lumsanews il professor Francesco Sabatini, accademico della Crusca.

Dello stesso parere è Paolo Martino, professore di glottologia e linguistica generale all’Università Lumsa di Roma, preoccupato soprattutto dall’uso eccessivo di anglismi nel nostro vocabolario e dell’insegnamento della lingua inglese a discapito delle ore dedicate all’italiano. “Si parla per slogan, si parla della Scuola smart nei documenti del ministero, della scuola 4.0 fondata sulla digitalizzazione. Usare questa terminologia quando si parla di scuola, vuol dire che bisogna ‘disinstallare’ il precedente modello, che però non è tutto da buttar via. La scuola ha una tradizione secolare”, spiega nell’intervista.

Sembra di essere di fronte a una gerarchia di valori del tutto capovolta a discapito della lingua italiana, sintetizza in conclusione Massimo Cacciari, filosofo, politologo e accademico italiano. “L’italiano, che era l’insegnamento fondamentale fino a qualche decennio fa, perde importanza rispetto ad altre materie. Ad esempio, oggi una famiglia preferisce di gran lunga che il proprio figlio esca dalla scuola sapendo bene l’inglese, piuttosto che l’italiano”, spiega Cacciari in un’intervista a Lumsanews.

Colpa, secondo Cacciari, di un impianto consolidato del liceo e della scuola in genere che è stato smembrato. Ma anche di un linguaggio povero diffuso da quegli stessi media che oggi propongono una iniziativa per favorire un uso corretto dell’italiano. “Io credo”, conclude il filosofo, “che si tratti di un destino: il mondo va verso una sorta di lingua franca che è l’inglese medio-basso, e tutto il resto si colloca dietro nella scala gerarchica”.