Incubo crociati, il calcio scopre la sua malattia professionale

di Carmelo Leo e Antonio Scali

Nove giornate, cinque lesioni al legamento crociato anteriore. La Serie A dovrà fare a meno per gran parte del campionato di Milik (Napoli), Conti (Milan), Tumminello (Crotone), Letschert (Sassuolo) e Vanheusden (Inter).

Contando anche gli infortunati dallo scorso anno, 11 squadre su 20 presentano un caso di un calciatore con il crociato rotto. L’impressione è che questo tipo di infortunio sia diventato più frequente rispetto al passato e che ciò non sia solo un caso. Soprattutto considerando alcune recenti ricadute: Florenzi e Strootman ne sanno qualcosa, dato che il loro ginocchio ha ceduto per due volte.

«Per dire che le lesioni al crociato sono in aumento – spiega Piero Volpi, medico sportivo ex Inter e oggi consulente sanitario per l’Associazione Italiana Calciatori (AIC) – bisognerebbe avere una banca dati di cui non disponiamo. Empiricamente ritengo che siamo sui trend degli ultimi anni, anche se il numero rimane elevato rispetto al calcio di 20-30 anni fa».

Anche la Uefa, il massimo organismo del calcio europeo, monitora il fenomeno. E dal 2001 stila un report annuale sugli infortuni. Nella scorsa stagione – secondo i dati forniti da 21 squadre partecipanti alla Champions League – se ne sono verificati 795, di cui il 43% in allenamento. In particolare, sono 132 le lesioni ai legamenti, comprese però anche quelle alla caviglia.

I tempi di recupero. La rottura del crociato prevede una lunga riabilitazione. Per questo a volte le società o i calciatori stessi pressano i medici per anticipare i tempi, esponendosi però a ricadute. Prima del ritorno in campo passano in media sei mesi: una brutta tegola per un atleta, ma anche per le squadre costrette a farne a meno. Ne sa qualcosa il Crotone: «Tumminello era l’unico con certe caratteristiche nella nostra rosa – conferma il direttore sportivo Peppe Ursino – e il suo infortunio ci ha un po’ spiazzati». In più, il preparatore addetto al recupero infortuni del club calabrese, Elmiro Trombino, sottolinea che per tornare veramente ai livelli precedenti al trauma «sono necessari dai 12 ai 18 mesi».

Se la media per il rientro in campo è di sei mesi, è anche vero che negli anni ci sono stati recuperi record. Su tutti Roberto Baggio: infortunatosi nel gennaio 2002 al crociato del ginocchio sinistro, riuscì a tornare in campo dopo soli 81 giorni. Spinto soprattutto dal sogno di una convocazione ai Mondiali di Corea e Giappone, che tuttavia non arrivò.

«Quello di Baggio fu un caso eccezionale – dichiara il dottor Volpi – che non può essere preso in considerazione». Gli fa eco Trombino: «Era un altro calcio, meno veloce e fisico e Baggio era un attaccante senza compiti difensivi. Oggi sarebbe impensabile». Un altro recupero lampo è stato quello di Cristiano Lucarelli, che nel settembre 2010, quando era al Napoli, rimediò una lesione al crociato: tornò in campo dopo soli quattro mesi. All’opposto, nel 2014 per lo stesso infortunio Strootman rimase ai box 8 mesi.

Non solo sfortuna. Può capitare che la rottura del crociato avvenga per un contrasto o un movimento innaturale. Ma spesso l’infortunio ha cause ben precise: «Il calcio professionistico – sottolinea Volpi – risente di due fattori: la frequenza delle partite e l’intensità degli allenamenti. Gli infortuni sono una conseguenza». Complici anche i diritti televisivi, tra campionato e coppe si gioca quasi ogni tre giorni. Ma secondo il presidente dell’AIC, Damiano Tommasi, il punto è un altro: «Più che le troppe partite, il problema sono i pochi allenamenti tra una e l’altra. Le tante competizioni portano i giocatori a essere continuamente in viaggio, sacrificando la qualità della preparazione».

Il preparatore Trombino punta invece il dito sul precampionato: «È sbagliato caricare troppo durante la preparazione estiva: dovrebbe essere ormai superata l’idea che in estate si immagazzina “la benzina” per tutta la stagione». «Le società – sottolinea Tommasi – scelgono durante il precampionato di giocare amichevoli in giro per il mondo per interessi economici, sacrificando così la qualità della preparazione».

Come si interviene. Negli anni la tecnica di ricostruzione del crociato si è evoluta. Esistono tre tipologie di intervento, a seconda che il tendine usato per sostituire il legamento venga prelevato dal paziente stesso (trapianto autologo) o da un donatore esterno (allograft). «Se si tratta di un ginocchio alla prima lesione – afferma il dottor Volpi – l’autologo, che nella maggior parte dei casi si realizza asportando parte del tendine rotuleo o di quelli gracile e semitendinoso, assorbe il 95% delle scelte dei chirurghi mondiali». Ciascuna tecnica ha pro e contro: ogni specialista sceglie quale applicare in base alle proprie convinzioni e al tipo di paziente.

Calciatori e allenatori più volte si sono espressi a favore di una riduzione delle partite come strumento di prevenzione: «L’AIC – ricorda il presidente Tommasi – da tempo propone di anticipare l’inizio del campionato per diluire gli impegni nell’arco della stagione». Il tema degli infortuni e delle ricadute è molto caldo: le federazioni si stanno attrezzando per reagire ai cambiamenti del calcio moderno. Basti pensare che nella Liga spagnola non esiste preparazione atletica precampionato. Più che le riabilitazioni frettolose sono quindi le troppe partite e i carichi di lavoro eccessivi a mettere il calcio in ginocchio.