Nella lotta al tifo violento l’Italia è più virtuosa di Inghilterra e Germania

A cura di Fabio Simonelli e William Valentini

Ottantotto gare senza incidenti sulle oltre 2.500 monitorate. Il 24% in meno rispetto allo scorso anno. I dati (stagione 2015/16) sulla gestione dell’ordine pubblico nel calcio italiano sono incoraggianti. A fornirli è l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, l’ente responsabile della sicurezza.

Nel 2016 il numero di feriti tra gli spettatori in Germania ha superato di 15 volte il dato italiano e addirittura di 20 volte in Inghilterra.

«Il bilancio del 2016 sul fronte sicurezza negli stadi è estremamente positivo», osserva il vice presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, Armando Forgione, intervistato da Lumsanews.

La soluzione italiana

In dieci anni nessun paese europeo ha investito tante energie per contrastare la violenza legata al calcio come l’Italia. Tuttavia, nelle ultime settimane, non sono mancati episodi di scontri e guerriglia, sia nelle coppe europee (Juve-Dinamo Zagabria), sia durante il campionato (Atalanta-Roma).

La legge in vigore è la numero 146 del 17 ottobre del 2014, ultima di una serie di modifiche della legge 401 del 13 dicembre 1989.

Le leggi in materia di sicurezza negli stadi dal 2000 a oggi

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I punti deboli della legge Amato e di quella Alfano/Renzi

 Le differenze tra la tradizionale tessera del tifoso e la nuova Carta Club Away

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La questione sicurezza in Europa

Nell’Inghilterra degli anni 80 i tifosi violenti erano diventati una piaga sociale. Un problema grave era l’inadeguatezza delle infrastrutture sportive. Stadi senza divisioni tra i settori, permettevano il contatto tra i teppisti. La prima mossa fu l’introduzione dei seggiolini sulle gradinate. L’alcool favoriva l’esplosione della violenza: venne quindi abolita la vendita vicino allo stadio. Parallelamente fu sviluppato un sistema di custodia cautelare con la costruzione di celle dentro lo stadio. I tribunali potevano interdire gli hooligan dalle manifestazioni, con obbligo di firma durate le partite. Il risultato, però, è stato a due facce. Più che risolvere il problema, lo si è solo allontanato dai campi di gioco, perché i tifosi continuano a scontrarsi in aree lontane e isolate.

In Germania le misure adottate contro i fenomeni di violenza vanno totalmente in un’altra direzione. Si è cercato di rendere gli impianti sicuri senza però stravolgere “l’esperienza stadio”. In questo senso va la scelta della federazione di rimettere i settori popolari senza seggiolini e tenere i biglietti ad un costo accessibile. Il principio base che regola la sicurezza è separare nettamente l’interno dall’esterno. Gli steward sono presenti solo sugli spalti, mentre fuori solo la polizia ha il compito di garantire l’ordine. Il risultato sono gli stadi più pieni d’Europa, con società come il Borussia Dortmund che registrano il tutto esaurito da anni. Una circolazione continua di informazioni tra forze dell’ordine e club, ma anche tra tifosi semplici, ultras e i consigli di amministrazione, chiamati a garantire insieme la tranquillità dell’evento sportivo.

Due diverse versioni a confronto

«Il problema non è il Daspo, ma semmai il suo abuso», commenta l’avvocato Lorenzo Contucci, difensore di diversi ultras. «Tecnicamente è corretto, ma dovrebbe essere applicato da un giudice invece che dal questore. Le altre misure di prevenzione passano dal tribunale. Vengono dati Daspo ridicoli per soggetti non pericolosi» aggiunge.

Di altro avviso il vice presidente Forgione. «Il sistema italiano della sicurezza delle manifestazioni sportive è da considerarsi adeguato», replica. «Al termine della stagione sportiva 2015-2016  solo 88 gare sulle oltre 2.500 monitorate di tutti i campionati hanno fatto registrare incidenti, con un calo del 24,14% rispetto al campionato precedente» aggiunge.

Sulla introduzione delle barriere nelle curve dello stadio Olimpico di Roma, volute dall’ex prefetto Gabrielli e contestate dalle tifoserie di Roma e Lazio, Forgione precisa che si tratta di una soluzione temporanea e voluta perché «le curve dell’Olimpico avevano una capienza di oltre 15.000 spettatori e le uscite di sicurezza non venivano mai rispettate».

Contucci invece sostiene che «Roma doveva essere un progetto pilota da esportare in tutta Italia. Non è credibile che ci fossero tremila persone in più nel settore. Le barriere sono state introdotte per disgregare il tifo organizzato».

Gli stadi di proprietà: soluzione o maggiore complicazione?

Il problema-sicurezza si sta trasformando in una questione logistica: mentre nel passato gli scontri tra supporter rivali si concentravano all’interno degli stadi, adesso la gran parte degli incidenti avvengono fuori. Autogrill, locali, e zone periferiche della città sono i luoghi preferiti dagli ultras per scontrarsi tra loro. Mentre negli stadi il nemico sono le forze dell’ordine.

Con la costruzione negli stadi di proprietà il calcio italiano vuole risolvere il problema violenza. Attualmente sono tre le società italiane ad aver fatto quest’investimento: Juventus, Sassuolo e Udinese. Nessuna di esse può essere un esempio calzante. La Juve ha una tifoseria liquida, sparsa per buona parte d’Italia. Molti ultras bianconeri non sono torinesi, e a volte neanche si recano allo Juventus Stadium, preferendo trasferte più vicine. Sassuolo e Udinese hanno tifoserie piccole e storicamente tranquille.

«Da una parte permettono un più facile accesso e fruizione del prodotto calcio. Dall’altra però per le forze dell’ordine sarà più difficile. Ci sarà un’ulteriore componente, la società proprietaria, che si siederà al tavolo della sicurezza» dichiara Contucci senza sbilanciarsi. Sul ruolo chiave della relazione tra club e istituzioni è d’accordo anche Forgione. «Il proprietario ha facilità di intervento e ha sicuramente maggior propensione a mantenere l’impianto al massimo dell’efficienza. Si è registrato un positivo salto di qualità per quanto riguarda il livello di responsabilizzazione della società».