Scrittura inclusiva, la ricetta francese
per la parità di genere

Una scrittura che rispetta maschi e femmine esiste. Il modello arriva dalla Francia e si chiama écriture inclusive. Traducibile in italiano con “scrittura inclusiva”, l’idea è quella di partire dalla lingua per arrivare ad un’uguaglianza e una parità di diritti nella società. Un progetto che fa discutere dal 2016, quando un vero e proprio manuale è stato messo a punto dall’agenzia di comunicazione Mots-Clés. A far esplodere la polemica è stato però l’impiego di questa tecnica in un libro destinato ad allievi di terza elementare, pubblicato dalla casa editrice Hatier. Da allora il tema non ha smesso di scaldare l’opinione pubblica francese fino a pochi giorni fa, quando il primo ministro Edouard Philippe ha vietato l’utilizzo della scrittura inclusiva in tutti i testi ufficiali.

In realtà, questa scrittura propone semplici accorgimenti come la declinazione al femminile dei nomi di professione (es. “sindaca”, “assessora”, ecc.) anche tramite l’impiego della doppia flessione (es. “i dirigenti e le dirigenti”, “gli elettori e le elettrici”, ecc.); l’utilizzo di parole e locuzioni neutre (es. “artista”, “il corpo insegnante”, “i diritti umani” e non “dell’uomo”) e l’uso del point médian, ovvero il punto mediano [·] (un segno che separa morfologicamente le desinenze del maschile e del femminile). Quest’ultimo accorgimento (da applicare come segue: “gli·le italiani·e”, “molti·e collaboratori·trici”) è anche il più criticato, specie per la distrazione che può provocare durante la lettura. “Si legge benissimo… noi lo abbiamo scelto perché crediamo sia adatto da un punto di vista semiotico, pratico e perfino tecnicopuntualizza a Lumsanews Chloé Sebagh, responsabile del progetto presso l’agenzia Mots-Clés.

Per far progredire l’uguaglianza bisogna agire su ciò su cui si strutturano le menti, vale a dire il linguaggio” spiega l’ideatrice, che preferisce farsi definire “cheffe” e non “chef” del progetto. “La nostra proposta è quella di una scrittura che designi un insieme di attenzioni grafiche e sintattiche per arrivare ad un’eguale rappresentanza tra uomini e donne” prosegue, sottolineando come le donne nel 2016 abbiano guadagnato in media il 23,5% in meno degli uomini. Un allarme lanciato anche dalla Commissione Europea che ha deciso di mobilitarsi per i diritti delle donne in seguito a un’indagine Eurobarometro che mette in evidenza come la parità di genere nell’Unione non è affatto raggiunta.

Ma l’intento di rendere la lingua meno sessista e più equilibrata, tramite un uso consapevole del linguaggio di genere, non piace a tutti. Insomma, la scrittura inclusiva invece che unire divide. Anzi, per l’Académie Française – un po’ l’omologa della nostra Accademia della Crusca – il progetto sarebbe addirittura “un pericolo mortale” per la lingua. “Questo giudizio non mi sorprende visto che sappiamo che è stata proprio l’accademia in passato ad instaurare la regola per la quale ‘il maschile vince sempre sul femminile’” prosegue la Sebagh. Una “Guida pratica per una comunicazione pubblica senza stereotipi di genere” era stata proposta anche dall’Alto Consiglio francese per le pari opportunità, già nel 2015.

Il tentativo di modificare la cultura partendo dalla lingua è un intento tanto nobile quanto complesso. Ma l’Agenzia Mots-Clés non è l’unica che a provarci. In Italia, nel neonato “Piano femminista contro la violenza di genere” si legge che “La lingua italiana è una lingua sessuata, in cui predomina il maschile, presentato come universale e neutro”. Per questo, le militanti della rete “Non una di meno” invitano “a rendere il nostro linguaggio inclusivo per avere nuove parole per raccontarci e per modificare i nostri immaginari”. Già, inclusivo, come la scrittura che fa tanto discutere oltralpe. “La lingua, quale strumento della comunicazione della società, deve fornire i mezzi per comunicare al megliospiega a Lumsanews Carlo Eugeni, traduttologo e docente di traduzione francese all’Università per Stranieri di Perugia.  

Se il Bel Paese si appresta a seguire le orme francesi, anche il dibattito pubblico potrebbe essere altrettanto caldo. Già nel 2015 già fu molto acceso lo scontro sulla declinazioni al femminile delle professioni, di cui si fece paladina la presidente della Camera Laura Boldrini. Quindi, alla sola possibilità che la scrittura inclusiva possa sbarcare in Italia c’è già chi mette le mani avanti. Non a caso il quotidiano “Il Foglio” parla di “terrorismo ortografico quando analizza la pratica francese. In effetti, il pericolo che queste norme possano radicarsi anche nella lingua italiana sembra sussistere: nonostante la sua rigidità, “l’italiano ha dimostrato di accettare forme morfologicamente non proprie” prosegue Eugeni.

Non solo, in Italiano tentativi di indicare le professioni al femminile esistono da secoli, come illustra a Lumsanews il presidente onorario dell’Accademia della Crusca Francesco Sabatini: “Il termine ‘medica’ venne usato da Boccaccio per una donna che faceva questa professione”. Ma anche ‘sindaca’, discusso oggi, non è una novità: “indicava la figura che amministrava i conventi femminili…fra le suore c’era quindi la sindaca” spiega l’accademico. Seppur occorrenze sporadiche, sono evidenze di una tendenza in atto da molto tempo.

Oggi, i tentativi di rendere la lingua rispettosa di tutti i sessi arrivano anche da altri paesi. In Inghilterra, gli studenti di Oxford hanno proposto l’utilizzo del pronome neutro “ze per non discriminare le persone trans, superando il binarismo di “he” o “she”. Gli spagnoli prediligono invece la chiocciola (@) alla fine delle parole marcate per lasciare la possibilità al lettore di scegliere e interpretare il genere. Ma, conclude il traduttologo, in italiano come in tutte le altre lingue per queste norme “a decretarne il successo sarà la maggiore o minore facilità d’uso”.