Gli Usa cambiano voltoCosì Trump ridisegna l'America di Obama

Dalla stretta sui rifugiati alla cancellazione dell'Obamacare

Ad undici giorni dall’insediamento ufficiale del 20 gennaio, Donald Trump, quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, ha già cambiato il volto dell’America. Il motivo: una serie di ordini esecutivi, ossia provvedimenti immediati che non passano per il Congresso e che sono molto usati dai presidenti per imprimere la propria direzione all’inizio di un’amministrazione. Dal muro col Messico, al ritiro americano dall’accordo Tpp, i provvedimenti sull’ambiente, le norme contro l’aborto, l’inizio dello spezzettamento dell’Obamacare, lo stop alle assunzioni statali, l’alleggerimento fiscale per le imprese, e infine il bando ai rifugiati di sette paesi di fede musulmana. Si protesta ovunque, dentro e fuori la Rete: davanti alla Casa Bianca, negli aeroporti, di fronte alla Statua della Libertà. Protestano i big della Silicon Valley e i protagonisti di Hollywood, ma anche le tante famiglie multiculturali più o meno colpite da queste misure. La politica del tycoon ridisegna l’America e indigna molti americani. In otto giorni avrebbe raggiunto il tasso di disapprovazione che Bush toccò dopo tre anni.  Secondo un recente sondaggio Gallup, che monitora questi dati dal 1945, il 51 per cento degli statunitensi disapprova l’operato del governo Trump.

Il primo provvedimento riguarda il Messico. L’idea di Trump è costruire la fortificazione per impedire l’immigrazione clandestina dal Sudamerica (in realtà si tratta di un’opera già esistente, costruita per primo da Bill Clinton, che Trump vuole potenziare). Non è chiaro chi si occuperà delle spese, Trump aveva detto durante la campagna che lo avrebbe fatto il Messico, ma il presidente Enrique Peña Nieto lo aveva smentito (i due si incontreranno oggi a Washington). L’ordine esecutivo sul muro messicano viene accompagnato da una serie di provvedimenti contro l’immigrazione, partendo dal bando che vieta l’arrivo di cittadini di sette paesi musulmani (Iraq, Iran, Yemen, Libia, Siria, Somalia e Siria). Tutto in linea con un’altra delle promesse più forti della campagna: via gli immigrati (musulmani, visto che si tratta di paesi islamici). Trump ha ingaggiato un braccio di ferro con l’Europa per giustificare il bando all’accoglienza dei rifugiati: “Il nostro Paese – twitta – ha bisogno di confini forti e di controlli rigidi, adesso. Guardate a quello che sta succedendo in Europa e, anzi, in tutto il mondo un caos orribile”. Il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas risponde: “Questa è l’Unione Europea e noi non discriminiamo sulla base della nazionalità, della razza o della religione”.

Muta in America anche il diritto alla salute, con la scelta di iniziare a smontare pezzo per pezzo l’Obamacare (il piano di copertura sanitaria nazionale) e quelle sull’aborto. Fa discutere l’ordine esecutivo che taglia i fondi federali alle Ong internazionali che praticano aborti o forniscono informazioni a riguardo. Questo provvedimento non solo ha un effetto sulla pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche sulla prevenzione e sulla contraccezione. I consultori di Planned Parenthood si erano messi a riparo garantendosi un record di donazioni da parte di privati già dal giorno successivo all’elezione di Trump, e nelle ultime settimane governatori e sindaci democratici hanno a loro volta rafforzato le leggi locali che garantiscono il diritto all’aborto. Trump però spacca ulteriormente il Paese: negli Stati democratici sarà ancora possibile interrompere una gravidanza, fare un test per l’Hiv gratuito e avere facile accesso a tutti i metodi contraccettivi, negli Stati repubblicani, invece, si riporterà ancora una volta indietro l’orologio dei diritti civili. La posta in gioco non è economica né sociale. È culturale, prima e come sempre.

La cancellazione della politica di Obama continua anche con ordini che prevedono la riapertura dei Black Sites della Cia, ossia dei luoghi segreti in cui l’intelligence può portare avanti detenzioni e interrogatori sotto tortura. Barack Obama aveva chiuso i Black Sites ritenendoli non produttivi. Infine la conferma di Guantanamo, il super carcere cubano.

 

Simone Alliva

Laureato all'università Lumsa di Roma in Scienze dell’informazione, comunicazione e marketing, ha iniziato la professione da giornalista pubblicista nei giornali locali della Calabria. Passando nel 2013 al settimanale “L’Espresso”, dove si è occupato di cronaca politica e diritti civili.