Salvatore Toto' Riina tra due carabinieri dopo l'arresto del 15 gennaio del 1993. ANSA/FRANCO CUFARI

Morto Totò RiinaIl capo di Cosa Nostraaveva 87 anni

La CEI: "No al funerale pubblico" Maria Falcone: "Né gioisco, né perdono"

Con la sua morte scompare la possibilità di fare luce sui misteri irrisolti più gravi della storia italiana. Salvatore Riina è morto all’età di 87 anni, alle 3:37 della notte fra il 16 ed il 17 novembre, dopo 24 anni di carcere, la maggior parte dei quali scontati al 41-bis.

Nato a Corleone il 16 novembre del 1930, Totò o curtu, come era soprannominato per la sua non eccezionale altezza, ottenne la prima condanna a soli 19 anni: 12 anni per aver ucciso in una rissa un suo coetaneo, ma ne scontò soltanto 7.

La fama criminale di Riina iniziò a diffondersi nel 1969, quando prese parte alla strage di Viale Lazio, che doveva punire il boss malavitoso Michele Cavataio quale responsabile della “prima guerra di mafia”: Riina fu affiancato fra gli altri dai corleonesi Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella, nel commando che uccise “il cobra” Cavataio.

5 anni dopo Riina era già a capo di Cosa Nostra, ed il suo braccio destro era diventato Bernardo Provenzano, detto Binnu u’ Tratturi.

Riina divenne definitivamente il leader incontrastato dell’organo direttivo di Cosa Nostra, conosciuto come la “Commissione”, dal 1986 fino al suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993: il boss fu fermato da un commando guidato dal famoso capitano Ultimo davanti alla sua villa di Palermo, in via Bernini 54. Per i suoi reati, Riina stava scontando una condanna a 26 ergastoli.

Mentre era al timone di Cosa Nostra, Riina diede inizio ad una serie di ritorsioni contro lo Stato che inaugurarono la fase stragista della mafia, il cui punto di non ritorno è costituito dalle uccisioni dei giudici Giovanni Falcone, nella strage di Capaci (23 maggio 1992) e Paolo Borsellino, nell’attacco di via D’Amelio (19 luglio 1992).

A quel periodo seguì una pax mafiosa, una sospensione degli omicidi mafiosi che portò alcuni osservatori a teorizzare una trattativa occulta fra Stato e Mafia, che al momento è oggetto di un importante processo giudiziario in cui era imputato lo stesso boss.

Le prime reazioni alla scomparsa di Riina sono di Rosy Bindi, presidente della commissione parlamentare antimafia: “La fine di Riina non è la fine della mafia siciliana che resta un sistema criminale di altissima pericolosità – commenta la Bindi – Totò Riina è stato il capo indiscusso e sanguinario della Cosa Nostra stragista. Quella mafia era stata già sconfitta prima della sua morte, grazie al duro impegno delle istituzioni e al sacrificio di tanti uomini coraggiosi e giusti”.

“Non gioisco per la sua morte, ma non posso perdonarlo. Come mi insegna la mia religione avrei potuto concedergli il perdono se si fosse pentito, ma da lui nessun segno di redenzione è mai arrivato”. Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso a Capaci, che poi continua: “Per quello che è stato il suo percorso mi pare evidente che non abbia mai mostrato segni di pentimento”. Nelle sue parole poi, la rassegnazione di non riuscire a sapere alcune delle più torbide verità italiane: “Resta il forte rimpianto che in vita non ci abbia svelato nulla della stagione delle stragi e dei tanti misteri che sono legati a lui”.

Dalla politica, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ed il presidente del Senato Pietro Grasso invitano a non abbassare la guardia nella lotta contro la mafia ed il malaffare: “Lo Stato in tutte le occasioni deve marcare la propria differenza e distanza dalla mafia – dichiara il guardasigilli- e fare ciò che la mafia non ha fatto con chi è caduto sotto i suoi colpi, manifestando quella pietà che loro non hanno saputo esprimere”. Grasso invece evidenzia come “La pietà non deve far dimenticare i crimini compiuti, le vittime e il sangue. Non deve far dimenticare la feroce lotta che fece, negli anni Settanta, per impadronirsi del poter di Cosa nostra, uccidendo centinaia e centinaia di persone. E non deve far dimenticare la stagione delle stragi”.

Dopo la morte di Riina, è stata disposta dalla procura di Parma l’autopsia sul corpo del boss di Corleone.  Un boss che è morto solo: la famiglia infatti, pur in virtù del permesso speciale concesso dal Ministero di grazia e giustizia, non ha fatto in tempo a raggiungere Riina prima del suo ultimo respiro.

Sulla possibilità di un funerale pubblico e cattolico è intervenuta la Conferenza Episcopale Italiana con il suo portavoce, don Ivan Maffeis: “La Chiesa italiana ribadisce la ferma condanna di qualunque fenomeno mafioso. Ricordiamo anche la scomunica del Papa nei confronti dei mafiosi”, chiudendo di fatto ogni possibilità alla celebrazione di pubbliche esequie, aggiungendo come “la posizione della Chiesa, e della Chiesa italiana, è chiarissima. Di fronte a chi si è reso responsabile di tali crimini non è pensabile fare un funerale pubblico. E’ un segno che calpesterebbe la memoria delle vittime, di tutte le persone uccise, penso a Falcone, Borsellino, Livatino (magistrato ucciso dalla Stidda agrigentina), ma anche i tanti preti uccisi, come don Puglisi, e comunque i magistrati, le forze dell’ordine, le tante persone che sono state assassinate. Un funerale pubblico – commenta don Maffeis – sarebbe un segno che va nella direzione opposta del compito della Chiesa, che è quello di educare la coscienza e contrastare la mentalità criminale”.

Toto’ Riina nell’aula bunker di Palermo, in una immagine del 08 marzo 1993.
ANSA

Lorenzo Capezzuoli Ranchi

Nato a Roma durante i mondiali di Italia ’90, è iscritto all'Ordine dei Giornalisti del Lazio, albo pubblicisti. Dopo una esperienza a New York, dove studia Broadcast Journalism alla New York Film Academy, torna nella Capitale per il Master in giornalismo della Lumsa. Estroverso, spigliato e gran chiacchierone, guarda al prossimo biennio col sorriso.