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Furti e borseggi nelle città del turismo: il boom degli sceriffi digitali

di Elisa Ortuso10 Settembre 2025
10 Settembre 2025
La metropolitana di Roma

“Ormai agiscono praticamente indisturbati. Tutti ne sono consapevoli ma nessuno interviene. Per questo ho deciso di raccontarlo in prima persona, con la telecamera accesa, per mostrare la realtà senza filtri”. Parla così a Lumsanews Simone Ruzzi, in arte Cicalone, creator romano che su Youtube documenta uno dei fenomeni più temuti della Capitale: i borseggi. 

Cicalone è uno dei cosiddetti “influencer dei borseggiatori”, forse il più famoso in Italia. Classe 1973, cresciuto nella periferia di Roma, sbarca online nel 2007 con il format “Scuola di botte”, dedicato a tutorial di allenamento per la boxe. Poi passa a denunciare attraverso i video i furti con più o meno destrezza, soprattutto ai danni di turisti, soprattutto in metropolitana, per strada, vicino ai tavolini di bar e ristoranti. Non è il solo: Mattia Faraoni, Simone Carabella, Monica Poli, alias Lady Pickpocket, sono alcune delle voci che utilizzano i social come strumento di denuncia. 

Tra emergenza reale e effetto social

Il canale Youtube di Cicalone conta 850 mila iscritti con video che realizzano in media più di 350 milioni di visualizzazioni all’anno. Inoltre, secondo il sito di statistiche YouTubers.me, la media di guadagni mensili nei 12 mesi precedenti ad aprile 2025 ammonta a 5.300 euro. Numeri enormi che dimostrano l’interesse da parte del pubblico, incuriosito da ciò che sempre più spesso accade nei luoghi pubblici romani.

Sebbene non siano disponibili dati ufficiali del ministero dell’Interno riguardo i furti che avvengono nella Capitale, il fenomeno sembra in forte crescita. Secondo il Rapporto sicurezza stilato da Univ – Censis, nel 2024 a Roma si erano registrati 33.455 borseggi, il 68% in più rispetto al 2019, con incrementi legati proprio all’aumento dei flussi turistici. Mentre sono 187 i ladri di strada arrestati catturati dalle forze dell’ordine solo nei primi sette mesi del 2025. 

I borseggiatori rispondono a un identikit ormai consolidato: provengono soprattutto dai Paesi dell’Est Europa o dell’America Latina e agiscono prevalentemente in gruppo. La loro azione è sempre la stessa: donne e minorenni, impiegati come diversivi, attraverso spintoni o urti distraggono la vittima mentre un complice sottrae loro oggetti di valore. I loro bersagli preferiti? I turisti stranieri, ma anche gli italiani. 

Se l’intervento dello Stato non basta

Per far fronte a questo fenomeno dall’inizio del 2023 il governo Meloni ha disposto un piano per il rafforzamento degli agenti nelle principali metropoli italiane: 3.857 a Roma, 1.653 a Milano e 1.314 a Napoli a cui si sono aggiunti, nell’ambito dell’operazione “stazioni sicure”, più di un centinaio di militari sempre nelle stesse città. Nell’agosto 2024, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato l’istituzione della Polmetro, una sezione specializzata della Polizia con il compito di occuparsi della sicurezza nelle metropolitane italiane. 

Tutto questo non è bastato a calmare la situazione. “Lo Stato fa, ma non basta” ribadisce Ruzzi-Cicalone. “Servono più controlli, più presenza delle forze dell’ordine, leggi più severe”. Così se la Polmetro non risolve il problema, ci pensano i tiktoker ad accendere i riflettori. “Mostro le cose, faccio vedere quello che accade spesso sotto gli occhi di tutti”, racconta l’influencer. E a chi lo critica di farsi giustizia privata risponde: “Non la faccio, non tocco nessuno”. Per lui c’è solo uno scopo: denunciare. “Se poi – aggiunge – questo serve a far aprire gli occhi alla gente e a dare un supporto a chi deve occuparsi di sicurezza, allora ho centrato l’obiettivo”.

La sfida nel contorno della legalità 

Ma le ronde dello youtuber presentano non poche criticità. Secondo Ernesto Belisario, avvocato esperto di diritto delle tecnologie, “in uno Stato di diritto nessuno si fa giustizia da solo” e aggiunge “se si vuole denunciare bisogna farlo alle autorità competenti, non postare un video sui social”. Un gesto da non sottovalutare, considerando che la normativa sulla privacy è molto rigorosa. “È possibile – spiega Belisario – fare riprese in luoghi pubblici e utilizzarle come strumento di denuncia ma pubblicare immagini riconoscibili senza consenso può configurare come violazione della normativa sulla privacy, eccezion fatta per le immagini a uso giornalistico”. 

Tra i tanti critici di questo operato anche il segretario della Cgil di Roma e Lazio, Natale Di Cola, che in passato si è scontrato più volte con l’influencer. “Io critico la modalità di attività che viene fatta in alcuni video”, ci spiega. La preoccupazione del segretario è che per dare sicurezza “possa passare l’idea che la soluzione sia quella privata” e non quella istituzionale. Le denunce dello youtuber, combinate all’azione della Cgil, – continua Di Cola – potrebbero generare un effetto più efficace sulla percezione di sicurezza dei cittadini, ma i suoi atteggiamenti rischiano solo di amplificare e scatenare reazioni opposte”.

Esattamente quanto accaduto lo scorso 26 luglio davanti alla stazione centrale di Napoli, dove Ruzzi e la sua videomaker sono stati aggrediti da due uomini al grido di “qui oggi non fate niente”. Lo youtuber è stato colpito con un pezzo di legno e ha fatto ricorso a calci, spintoni e spray al peperoncino per difendersi. Una reazione coerente con il suo stile, che però molti hanno interpretato, ora come in passato, come un eccesso di autodifesa.  

Dall’occhio di chi riprende a quello di chi guarda

Ma sono davvero i “vigilantes” social la risposta che i cittadini aspettano per sentirsi più sicuri? Secondo il sociologo Gioacchino Toni, la percezione di aumento della sicurezza che i video degli influencer potrebbero suscitare “è soltanto un’illusione”. Attraverso la mediazione visiva, chi guarda si illude di partecipare a azioni che vorrebbe compiere, ma a cui spesso non ha il coraggio di prendere parte nella realtà. “In sostanza, un godere voyeuristico” chiarisce il sociologo. “Il successo di queste operazioni è da imputare alla  logica del ‘più uno’, tramite cui si genera la necessità di catturare l’audience e di mantenerla facendo in ogni video qualcosa in più”. Eppure Cicalone nega che le visualizzazioni, i guadagni, la fama, ottenuti siano per lui importanti. “Se fosse così – commenta lo youtuber – parlerei di cose più leggere, e farei molti più numeri senza rischiare nulla”. Pubblicare video oggi è certamente il suo lavoro ma quello che racconta “nasce da un’esigenza reale” ed “è diventata una missione oltre che una passione”. 

Tra la volontà di denunciare l’attualità attraverso i social network e il rischio di sostituirsi al ruolo dello Stato, il confine tra cittadinanza attiva e giustizia privata è più sfumato che mai.  “Se usassimo i video sui social come strumento di denuncia in tutti i settori della società – riflette l’avvocato Belisario – sarebbe un contesto molto critico perché ognuno si sentirebbe sceriffo”. 

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