Olivia Sundberg lavora a Bruxelles e si occupa di advocacy in materia di migrazione e asilo per Amnesty International. L’Ong opera a livello nazionale ed europeo per allineare le politiche governative agli standard internazionali sui diritti umani. A Lumsanews Sundberg spiega perché Amnesty e oltre 200 organizzazioni contestano la proposta Ue sui rimpatri.
Perché siete contrari a questo nuovo regolamento?
“Ci sono diversi elementi preoccupanti. Il primo è l’introduzione dei returns hub nel quadro giuridico europeo. Le persone potrebbero essere mandate con la forza in un Paese con cui non hanno alcun legame. Si tratta di politiche che riteniamo incompatibili con i diritti umani, perché ogni volta abbiamo assistito allo stesso schema di violazioni: detenzione arbitraria, trattamento disumano, lunghe controversie legali e responsabilità sfuggenti”.
La normativa aggraverebbe la situazione?
“Sì, perché riflette un approccio fortemente punitivo. È un preoccupante allontanamento dal diritto internazionale. La proposta amplia significativamente portata e durata della detenzione che cessa così di essere una misura di ultima istanza. Introduce per i rimpatriati obblighi di cooperazione che sarà impossibile rispettare nella pratica, con pesanti sanzioni. Limita le politiche più umane, sostenibili ed efficaci. Molti verranno lasciati in un limbo senza accesso al sostegno di cui hanno bisogno”.
Qual è la reale situazione delle migrazioni in Europa?
“Negli ultimi anni abbiamo assistito a una narrazione secondo cui la migrazione è fuori controllo a causa delle frontiere aperte. Tutto questo è un mito che non ha nulla a che fare con i fatti. Negli ultimi tre anni, gli arrivi nell’Ue sono diminuiti costantemente. Affermare che l’Europa non è in grado di gestire chi arriva sulle sue coste è falso e pericoloso. Come pure sostenere che abbiamo bisogno di politiche più severe per persone il cui unico crimine è cercare sicurezza”.
Come si contrasta questa narrazione?
“La cosa fondamentale è sfatare le falsità, spesso create da gruppi politici che hanno capito di poter ottenere vantaggi esagerando la minaccia dell’immigrazione. È importante anche denunciare le false promesse politiche, come l’idea che possiamo fermare la migrazione o impedire alle persone di arrivare. Finché avranno motivi per fuggire, si muoveranno. Se l’Ue rende loro più difficile entrare in modo regolare e sicuro, dovranno correre più rischi per muoversi, ma si muoveranno comunque”.
È necessario un cambio di paradigma?
“Dipende dal tipo di società in cui vogliamo vivere. Non credo che i cittadini europei vorrebbero finanziare le Guardie costiere libiche o tunisine che intrappolano le persone nei deserti o le torturano nei centri di detenzione. Vorremmo vedere Paesi europei orgogliosi di offrire protezione, come è stato con l’Ucraina. È stato dimostrato che è possibile accogliere le persone con dignità, rispettare e proteggere i loro diritti agendo in unità. Sembra esserci un doppio standard e penso che non si possa escludere un elemento di discriminazione razziale”.
Cosa credete che dovrebbe fare l’Europa?
“Servono più investimenti in politiche migratorie umane e di inclusione, con maggiori possibilità di rimanere e di avere accesso al sostegno di cui hanno bisogno. Servono risposte più rapide alle richieste di asilo e più risorse alle frontiere, in modo che chi arriva possa avere un posto dove vivere dignitosamente. Bisogna poi tenere in considerazione i motivi per cui non si può deportare una persona: il diritto alla salute, fisica e mentale, il diritto alla vita privata e alla vita familiare, l’interesse superiore di un bambino. Gli Stati membri devono assicurarsi che vi siano opzioni affinché le persone possano ottenere uno status giuridico alternativo”.


