Ancora apprensione per i giornalisti italiani in Siria. Forse i rapitori sono predoni o jihadisti

Si intitola “Silenzio si muore” l’ultimo post del blog di Amedeo Ricucci, il giornalista della Rai rapito in Siria, assieme ad altri tre reporter della troupe di La storia siamo noi. Ricucci, inviato Rai, Elio Colavolpe, fotografo, Andrea Vignali, documentarista, e Susan Dabous, giornalista italo-siriana collaboratrice del Foglio e di Avvenire, si troverebbero nelle mani dei ribelli, ma in una sorta di stato di “fermo”, cioè in attesa che siano confermate le loro identità e la loro professione di giornalisti e reporter. I ribelli si sarebbero insospettiti perche i quattro stavano filmando e fotografando luoghi definiti “sensibili” per il loro documentario di cui parlava Amedeo Ricucci sul suo blog prima che venisse bloccato, con gli altri compagni di spedizione, nel villaggio di Yaqubiya, a nord di Idlib. Il timore, tuttavia, è che i predoni e i jihadisti presenti tra gli siao i veri responsabili del rapimento degli italiani, e sarebbe quindi con loro che andrebbe costruito un dialogo teso alla loro liberazione.
Il programma della spedizione. I quattro italiani fanno parte della troupe, guidata da Amedeo Ricucci del programma Rai “La Storia siamo noi”, impegnati in Siria da giorni a un reportage sperimentale dal titolo “Silenzio, si muore”. Si tratta di un primo esperimento Rai di giornalismo partecipativo. Ricucci aveva annunciato sul suo blog, alla vigilia della partenza, che con i suoi collaboratori sarebbe stato in Siria dal primo al 15 aprile, realizzando collegamenti ogni giorno via Skype con un gruppo di studenti di San Lazzaro di Savena. I ragazzi della scuola della provincia di Bologna avrebbero dovuto interagire attivamente con i giornalisti sul campo e fornire loro, grazie anche a indicazioni della redazione de “La Storia siamo noi”, spunti e suggerimenti circa notizie da seguire e storie da raccontare. Ricucci e Colavolpe erano già stati assieme nei mesi scorsi per un altro reportage ad Aleppo, sempre prodotto dal canale di approfondimento Rai. Da Antiochia, i giornalisti italiani sono entrati nella Siria controllata dai ribelli lo scorso 2 aprile facendo tappa, tra l’altro, all’ospedale da campo di Yamadiye, di fronte alla località turca di Yayladagi. Il programma era di rientrare ogni sera in territorio turco e, quindi, di mantenersi sempre vicini alla striscia frontaliera tra i due Paesi. Nell’ultimo post, pubblicato il 23 marzo, il progetto Siria è spiegato così: “Onesta, umiltà, passione, competenza, interazione e trasparenza: sono secondo me i presupposti per costruire un nuovo patto di fiducia fra giornalismo e pubblica opinione nell’era della Rete e dei social network”.
Le loro tracce, secondo le prime ricostruzioni, si sono perse il 4 aprile, quando nel pomeriggio era previsto il collegamento con i ragazzi di San Lazzaro. L’unità di crisi della Farnesina è all’opera fin dal primo momento e chiede il massimo riserbo sulla vicenda. Sollecitazione alla quale si è associato il presidente della Fsni, Franco Siddi.