‘Ndrangheta, un database per fermare il Crimine

Un database mondiale per stanare la ‘ndrangheta. Non è fantascienza. È il progetto I-Can, acronimo di Interpol cooperation against ‘ndrangheta. Quarta banca dati del pianeta per grandezza e importanza tra quelle in dotazione alle forze di polizia, sviluppata e coordinata dall’Interpol per il contrasto alla criminalità calabrese. Tutto è nato nel 2019 a Santiago del Cile, durante l’assemblea generale dell’Interpol, come racconta a Lumsanews il vicecapo della polizia Vittorio Rizzi. “Sempre più report sulla criminalità organizzata vengono riservati alla colonizzazione da parte delle associazioni criminali italiane, in particolare della ‘ndrangheta, in altri Paesi del mondo. Così abbiamo voluto capire se ci fosse una consapevolezza internazionale di questa espansione. Non c’era. Ci siamo resi conto che molti dei colleghi stranieri non ne conoscevano nemmeno l’esistenza”.
Cambiare strategia di fronte alla mutazione genetica della multinazionale criminale più potente al mondo. Ormai da tempo la ‘ndrangheta è la prima mafia: ha superato Cosa Nostra e la camorra, stringe rapporti internazionali in tutto il mondo e con tutte le altre potenti organizzazioni. Ma soprattutto ha detto addio alla sua identity di lupara e coppola per indossare la giacca e la cravatta del mondo dell’imprenditoria. Con una mano stringe quella della finanza mondiale, con l’altra quella dei narcos sudamericani. Nel gestire un così delicato equilibrio la sua linfa vitale rimane il denaro. Sia quello sporco dei traffici tradizionali, di cui è ancora regina, sia quello pulito di business apparentemente leciti, che in realtà nascondono attività di riciclaggio. Una catena che può essere spezzata solo seguendo un principio: follow the money.

Una nuova identità

“Seguire il denaro” rimane ancora l’unico metodo per arginare gli affari della ‘ndrangheta: “È importante aggredire sul piano economico”, spiega Enzo Ciconte, ex parlamentare ed esperto di lungo corso delle dinamiche delle organizzazioni criminali. Chi pensa che sia solo un’associazione a delinquere, infatti, si sbaglia. È una lobby imprenditoriale che domina gli affari con strategie di infiltrazione, corruzione e intimidazioni, al passo coi tempi di una società in continua evoluzione. Questo perché “la mafia non vive nell’iperuranio”, e come si legge nella risoluzione parlamentare del 25 ottobre 2016 sulla lotta alla corruzione, “i gruppi criminali organizzati si sono adattati a mercati diversi”.
Per colpire il “centro nervoso del loro potere – continua Ciconte – è necessario confiscare i patrimoni per costringere l’organizzazione ad arretrare”. Senza il loro tesoro di beni gli è impossibile manipolare il sistema giudiziario a proprio vantaggio. Secondo l’esperto “la mafia cambia ma non inventa nulla”, si evolve ma non rinnega mai la sua identità “di sangue”.

In nome del sangue

I rapporti familiari, inoltre, le permettono di avere un bassissimo numero di pentiti: i Buscetta calabresi sono solo il 16,6% di tutti i collaboratori di giustizia. A differenza di Cosa Nostra, “nessun vertice dell’organizzazione calabrese si è mai pentito”, conferma Ciconte. Ma non solo. Fuori dalla regione d’origine sono le “locali” a garantire la solidità del potere ‘ndranghetista. In stretto collegamento con i “mandamenti” reggini, che funzionano come organo di raccordo con la struttura decisionale centrale, soprannominato il Crimine, la ‘ndrangheta ha trovato nel Nord Italia il supporto di parte dell’imprenditoria. Secondo il rapporto della Direzione investigativa antimafia, nel primo semestre del 2023 sono state individuate nel Settentrione 46 locali, di cui 25 in Lombardia e 16 in Piemonte.
Ed è proprio su questa espansione che può far luce il sistema informatico sviluppato dalle forze dell’ordine italiane. Unire i puntini: il database di I-Can è in grado di estrarre e mettere a sistema informazioni provenienti da molteplici fonti. Superando il potere della mafia siciliana, i riflessi del Crimine calabrese sono ormai presenti in tutti i continenti. I-Can nasce a partire da questa riflessione, frutto dell’accordo tra Interpol e il Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno. “Parte dei report sulla criminalità organizzata riguarda la colonizzazione delle associazioni criminali italiane, in particolare della ‘ndrangheta, in altri Paesi del mondo”, spiega il prefetto Rizzi, tra i promotori dell’iniziativa.

Il lato oscuro della globalizzazione

Quarantotto latitanti arrestati in 28 Paesi del mondo: per tre anni l’obiettivo di I-Can è stato quello di assicurare una migliore condivisione internazionale di informazioni e risorse investigative. Ma non solo. “Creare awareness, ovvero conoscenza e consapevolezza” è il primo step di questo piano operativo, afferma Rizzi, per mettere “sotto i riflettori” internazionali la minaccia ‘ndranghetista. Seguono poi lo sviluppo, l’analisi e la creazione della banca dati comune. Una collaborazione che vanta tra i suoi successi la cattura in Uruguay di Rocco Morabito, il secondo latitante più ricercato dopo Matteo Messina Denaro.
I dettami corrono via rapidi non solo tra le locali e nei rapporti con le altre cosche, ma anche con i narcos. Dal Messico all’Ecuador, dalla Colombia al Brasile, i clan di ‘ndrangheta sono diventati gli alleati più fidati dei narcotrafficanti. L’estradizione in Italia il 5 marzo 2024 di Santos Medina Familia, uno dei 100 latitanti più pericolosi al mondo, ne è un esempio. Il superlatitante dominicano aveva giocato un ruolo chiave nello smercio di cocaina in accordo coi calabresi.

Crimine e narcos, gli arresti di ‘ndranghetisi in Sudamerica / Mappa creata con Visme

La collaborazione tra le due realtà criminali ha inizio verso la fine degli anni ‘90, grazie al controllo del porto di Gioia Tauro, come confermato dall’ultimo report della Dia. Negli anni, la ‘ndrangheta ha rafforzato i rapporti con il Messico, nuovo fulcro del narcotraffico latino. Una simbiosi, quella tra messicani e calabresi, capace di comprendere a pieno lo spirito della globalizzazione. Dai cartelli latini, però, la criminalità organizzata italiana ha imparato anche un nuovo lessico di promozione e un nuovo mercato, completamente digitale. Come suggerisce Ciconte, “è necessario seguirli sui social per capire quello che fanno e come si muovono”.

Cosca 5.0

Le reti sociali sono lo specchio e il motore del continuo rinnovamento della cultura e dell’estetica criminale. Nel rapporto Le mafie nell’era digitale curato da Marcello Ravveduto, professore di Digital Public History all’Università di Salerno e di Modena e Reggio Emilia, il contesto del malaffare viene disegnato come perfettamente in grado di auto-rappresentarsi. Il suo immaginario simbolico pubblicizzato come franchise.
Il loro intento? Reclutare la Google generation criminale. Ma l’oceano social è soltanto la superficie del radicamento delle cosche nell’etere, che per sua natura è invisibile e – solo apparentemente – irrintracciabile.
Oggi, spiegano il pm Nicola Gratteri e lo storico Antonio Nicaso ne Il Grifone, lo ‘ndranghetista non teme più di avere un “carabiniere in tasca”. Nelle loro mani stringono criptotelefoni immuni al tracciamento, pizzini criptati dell’epoca digitale. A insegnarne l’uso ai capicosca, i colleghi del Cartello di Sinaloa.
Da quei telefoni parte il reclutamento della nuova prima linea. Non più killer, ma hacker assoldati nel dark web. Le nuove armi sono linee di codice e raggiri messi a punto tramite ingegneria sociale: le truffe del phishing, il riciclaggio massiccio di denaro tramite l’home banking, l’uso dei ransomware, virus che bloccano i file di sistema, da riscattare previo pagamento in bitcoin.
E con le criptovalute, si rivela il nuovo tesoro del sommerso. Completamente decentralizzate, sono la moneta preferita dei mercati online, dove si smerciano sostanze stupefacenti da recapitare direttamente a casa. Il grossista, però, è sempre lo stesso boss calabrese.

Collaborazione e consapevolezza

Contrastare la nuova ‘ndrangheta non è semplice. Ma le parole chiave sono due: collaborazione e consapevolezza. Se il sistema di potere ‘ndranghetista rimane insondabile, il cosmo digitale rimane una macchina piena di buchi. “La Guardia di Finanza è attrezzata per far fronte al problema”, continua Ciconte, e la risorsa in mano alle forze di polizia è quella di sfruttare le armi del cybercrimine contro i suoi stessi utilizzatori. Parliamo dei trojan, virus in grado di controllare i sistemi informatici passando per le vulnerabilità del software. E quelle vulnerabilità potrebbero essere, anche, quelle della ‘ndrangheta.
Rizzi sottolinea come in Europa si siano fatti passi avanti con la creazione degli Joint Investigation Teams, la strada verso “un funzionale dialogo tra le magistrature”. I-Can, dunque, disegna il futuro di ogni strategia di contrasto al crimine organizzato. “Questo – spiega Rizzi – sta diventando il modello che l’Interpol adotterà per le prossime progettualità”.

Il vicecapo della polizia Vittorio Rizzi, promotore di I-Can, e il segretario generale dell’Interpol Jürgen Stock durante una conferenza stampa

Se è vero, come ha osservato il procuratore generale presso la Corte di Appello di Palermo Lia Sava, che la criminalità organizzata oggi è “liquida, capace di passare attraverso i differenti stati della fisica” e di adattarsi a tutto, la conseguenza è che anche il contrasto deve diventare simbiotico: forze di polizia fluide, collaborazione giudiziaria efficace. “Per questo”, conclude il vicecapo della polizia, “parliamo di consapevolezza come parola chiave. Quella stessa consapevolezza grazie alla quale la ‘ndrangheta è entrata tra le minacce transnazionali e così facendo è stata messa sotto i riflettori della giustizia internazionale”.

Di seguito le fonti utilizzate.

Audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere del Procuratore della Repubblica Calogero Gaetano Paci del 14/2/2024

Cómo surgió la ‘Ndrangheta, la poderosa mafia italiana que se asoció con el CJNG, Infobae, 3/5/2023

I boss nella Grande Distribuzione Organizzata, Dossier Agromafia Eurispes

Sentenza Corte di Cassazione 15768 del 2019

Sentenza Corte di Cassazione 55359 del 2016