Adinolfi, gli anarchici rivendicano. Lui guarito, torna a casa

In una lettera di 8 pagine il FAI e la cellula anarco-informale “Olga”, rivendicano l’attentato dell’Ad di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi. Sull’ultima pagina ci sono la firma e il simbolo del Fronte Anarchico Informale, il più grande movimento anarco-insurrezionalista ancora attivo in Italia. Nella lettera spedita da Genova Adinolfi viene definito “uno dei tanti stregoni dell’atomo dall’animo candido e dalla coscienza pulita”. La notizia arriva al Corriere della Sera subito dopo quella dei quattro volantini delle Br trovati a Legnano, nel milanese. Erano stati affissi tutti in posti diversi e contenevano un testo degli anni ’70.

Gli assassini scrivono. “Pur non amando la retorica violentista, con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere riempito il caricatore. Impugnare una pistola, scegliere e seguire l’obiettivo, coordinare mente e mano sono stati un passaggio obbligato, la logica conseguenza di un’idea di giustizia, il rischio di una scelta e nello stesso momento un confluire di sensazioni piacevoli. Un piccolo frammento di giustizia”.

Il fatto.
Lunedì 7 maggio l’Ad di Ansaldo Nucleare veniva gambizzato in un agguato in Via Montello, a poche decine di metri dalla sua abitazione.
Nel frattempo le indagini si erano concentrate sulla pista anarco-insurrezionalista e 8 persone, di cui 2 brigatisti, finivano nel registro degli indagati della Procura di Genova. Poi le perquisizioni di Catanzaro delle celle dei brigatisti Zoja e Porcile per dimostrare il loro coinvolgimento.
Tre le piste seguite dal Ministero dell’Interno finora: oltre alle Br, c’erano gli anarchici e l’Est-Europa.

Adinolfi sta meglio.
Si è salvato dal colpo di pistola sparatogli ed è tornato a casa stamane dall’ospedale San Martino di Genova, dov’era ricoverato dal 7 maggio scorso. A piantonarlo giorno e notte ci saranno ora due carabinieri per volere del Viminale.

Annunciate altre 8 azioni in nome della “libertà”. Per scongiurarle sono già al lavoro i Carabinieri di Milano e il Ros.

Lorenzo Caroselli