Davide Chiarot, operatore umanitario di Caritas Italia ad Aleppo, fornisce sostegno alla popolazione siriana da quasi tre anni. A Lumsanews racconta come si vive in Siria a un anno dalla caduta del regime di Bashar al Assad.
Cos’è cambiato dal periodo del regime?
“Il cambiamento principale è un riappropriarsi da parte delle persone di uno spazio di libertà nel quale poter parlare liberamente anche di politica, rispetto alla quale c’è una diversa partecipazione. Durante il periodo del regime di Assad, invece, c’era moltissima paura del controllo dei servizi di sicurezza. Però nel concreto, il Paese è a un livello così disastrato, dopo un conflitto così lungo, per cui in un anno non ci sono stati cambiamenti significativi nella vita delle persone”.
Secondo le stime della Banca Mondiale, per la ricostruzione della Siria sono necessari più di 200 miliardi di dollari. Qual è la situazione degli sfollati interni e dei campi profughi?
“Sono almeno 4 milioni ancora siriani in patria, ma lontani dalle loro zone di origine. L’80% della popolazione vive ancora grazie agli aiuti umanitari. L’altro giorno ad Aleppo hanno lanciato una campagna per la ricostruzione, con un piano ambizioso, sicuramente non attuabile nel breve tempo. La stima è di almeno 350 mila abitazioni danneggiate dalla guerra e dal terremoto, solo nella provincia di Aleppo. Un altro aspetto da considerare per chi rientra riguarda la difficoltà di usufruire di servizi base come quelli legati alla salute, all’istruzione e alla fornitura di acqua ed energia elettrica”.
Quali difficoltà si trova davanti un siriano, che vive ad esempio in Turchia o in Germania, che decide di rimpatriare?
“La Turchia ha permesso ai siriani che sono rifugiati da tanti anni, soprattutto nella zona di confine, di poter rientrare in Siria senza perdere lo status di rifugiato. Questo per permettergli di capire la situazione e decidere se spostarsi definitivamente. In Europa invece non è permesso a chi è richiedente asilo di rientrare, anche solo per visita, in Siria. Le realtà sono molto diverse: chi è scappato da villaggi sta soffrendo anche di più la mancanza di possibilità di lavoro e di ricostruzione, rispetto a chi proviene dalle città. Inoltre il Paese non è ancora in una condizione di sicurezza definitiva”.
Rispetto agli episodi di violenza contro le minoranze religiose degli alawiti e dei drusi, che atmosfera si respira?
“Tra la gente convive costantemente un doppio sentimento, da un lato la speranza che segue la caduta di un regime oppressivo. D’altro canto c’è la paura, soprattutto nelle minoranze, di come si concluderà questo processo di transizione”.
Al Sharaa gode ancora di largo consenso tra la popolazione?
“L’8 dicembre, ad Aleppo e in tutta la Siria, ci sono stati i festeggiamenti per il ‘Giorno della Liberazione’. È una festa che forse coinvolge in maniera più sentita una parte del popolo, che è la maggioranza del Paese. Non che non sia condiviso un certo sentimento di festa anche dalle minoranze, ma sicuramente diverso. In ogni modo gran parte dei siriani apprezza Al Sharaa in questo momento”.
Che opinione hanno i siriani dell’Europa e dell’Occidente?
“La stragrande maggioranza delle persone è impegnata a sopravvivere. L’Europa e l’Occidente sono visti ancora oggi come mete da sogno. Molti siriani hanno almeno un parente in qualche Paese d’Europa. Tanti, scappati dal Paese 10 anni fa, e che hanno ormai la cittadinanza in altre nazioni, sono tornati a visitare le famiglie. Nonostante ciò, non c’è la prospettiva di rimpatriare da parte di chi ormai vive da anni in Europa”.
Quali sono le principali attività di cui si occupa la Caritas?
“Noi di Caritas Italiana, in collaborazione con Caritas Siria lavoriamo molto in ambito sanitario. Mancano non solo le strutture, ma le persone non possono permettersi le cure. Oltre a questo, Caritas incentiva, sia attraverso la formazione professionale che con il microcredito, la possibilità di avviare piccole o medie imprese, attività che possono generare un reddito per le famiglie. Ci occupiamo anche della gestione del conflitto e della riconciliazione, attraverso uno spazio per i giovani a Damasco, con il fine di costruire relazioni incentrate sul tema della pace”.


