Come innovare l’impresa sociale? Una giornata di convegni al Forum PA

Il Forum PA, la quattro giorni di convegni incentrati sull’incontro-confronto tra pubbliche amministrazioni, imprese e cittadini, ha voluto dedicare l’intera giornata di ieri all’innovazione sociale made in Italy e ai suoi protagonisti. In mattinata hanno quindi avuto luogo, all’interno di uno dei padiglioni della Nuova Fiera di Roma − struttura che quest’anno ospita l’evento – sette tavole rotonde incentrate su altrettante tematiche afferenti l’innovazione sociale. Tra queste è certamente spiccata quella sviluppata intorno all’imprenditorialità: un confronto tra esperti del settore e rappresentanti di imprese e cooperative sociali, come ad esempio Marco Aiello, direttore Sviluppo e innovazione di Welfare Italia servizi e persona, Marco Tognetti, presidente della società cooperativa Lama – Development and cooperation agency, Laura Bongiovanni, presidente dell’Associazione Isnet, Paolo Venturi, direttore dell’Aiccon, il professor Gennaro Iasevoli, presidente del corso di laurea in Produzione culturale, editoria e giornalismo all’Università Lumsa di Roma, e Caterina Banella, esperta in comunicazione e responsabilità sociale d’impresa.

L’impresa sociale e quella privata
. Al centro della discussione è sempre stata l’impresa sociale, la quale, per definizione, offre beni e servizi di pubblica utilità senza perseguire il profitto, pur mantenendo il bilancio dell’azienda in equilibrio. I campi in cui normalmente opera questo tipo di impresa sono molteplici, come quelli dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’educazione, della tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale. Durante il dibattito un passaggio molto importante ha riguardato pertanto le collaborazioni tra impresa sociale e impresa privata e le differenze riguardanti mentalità e approcci per conseguire obiettivi di breve e lungo termine. L’impresa sociale, anche a causa di queste ragioni, sembra allora trovare difficoltà a definire progetti di cooperazione riguardanti altri soggetti che non siano la pubblica amministrazione: essenzialmente perché se da un lato il privato considera il sociale ancora come un costo, e non come un’opportunità, dall’altro il sociale teme il privato e il bisogno di quest’ultimo di posizionarsi sul mercato.  Altro nodo affrontato nel corso della mattinata è stato quello della professionalizzazione del Terzo Settore. Il tavolo di lavoro, con il professor Iasevoli in testa,  ha infatti sostenuto che la capacità di unire business e social enterprise passa inevitabilmente, prima di tutto, attraverso una maggiore professionalizzazione, e poi, in secondo luogo, per una codificazione che sancisca, garantendolo, un nuovo metodo di lavoro, più adatto alle sfide del futuro: due strumenti, questi, sicuramente propedeutici all’innovazione, capaci di stimolare, attraendoli, sempre più investimenti.

Costi e governance.
I relatori hanno poi fatto emergere nuove prospettive e istanze, riguardanti le caratteristiche dell’offerta e la guida dell’azienda no-profit. I costi dei prodotti dell’impresa sociale, infatti, devono necessariamente abbassarsi, in modo tale che l’utenza finale accresca il proprio apprezzamento verso l’azienda; la qualità di ciò che è venduto, d’altro canto, deve contestualmente aumentare. Inoltre deve affermarsi maggiormente l’idea che il sociale ha un proprio valore economico, anzi, addirittura un valore aggiunto rispetto al privato. Quando poi l’impresa sociale collabora con un soggetto profit la responsabilità manageriale del progetto in comune dovrebbe ricadere interamente su quest’ultimo, dall’esperienza e dalla professionalità indiscutibilmente maggiori: constatazione questa che dovrebbe giustificare la modifica della governance, con ripercussioni che investirebbero naturalmente anche i livelli giuridico ed economico.
A detta del tavolo di lavoro la cooperazione sociale deve quindi necessariamente innovarsi – pena l’essere travolta da mercati sempre più esigenti – tenendo conto dei contesti e delle tecnologie più recenti, specialmente quelle digitali già a disposizione. Lo Stato può certamente dare una mano contribuendo in modo decisivo a questo processo di svecchiamento, non solo attuando politiche fiscali che favoriscano l’impresa sociale ma anche costruendo cornici di regole, procedure e criteri dentro le quali il no profit possa muoversi con maggiore sicurezza.

Fabio Grazzini