HomeCronaca “Con una sigaretta in mano i giovani si sentono adulti. Affascina la trasgressione”

“Con una sigaretta in mano
i giovani si sentono adulti
Affascina la trasgressione”

L’analisi del sociologo Stefano Cifiello

“La responsabilità è dei mass media”

di Patrizio Ruviglioni21 Gennaio 2020
21 Gennaio 2020
Stefano Cifiello

Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità, nonostante il calo di fumatori in Italia dall’entrata in vigore della legge Sirchia (2005), il numero di giovani tabagisti resta alto. Ma perché tanti ragazzi si avvicinano alle sigarette? Ne abbiamo parlato con lo psicologo e sociologo Stefano Cifiello, autore della ricerca “Motivazioni al consumo dei giovani tabagisti”.

Cosa spinge i giovani a fumare?
«Per i ragazzi, il primo approccio con la sigaretta è come i rituali di passaggio delle società primitive: un modo per equipararsi agli adulti. Fumare viene visto come un loro tratto distintivo, e per questo i giovani scelgono di emularlo: per sentirsi più grandi di quanto si è. Figuriamoci: ci sono tracce di tabagisti giovanissimi sin dai tempi del Ventennio fascista, è un’idea molto radicata nella nostra società».

Però in Italia sono state fatte tante campagne per sensibilizzare i fumatori al pericolo. Possiamo dire che sono inefficaci? 
«Spesso sì, purtroppo. La verità è che informare aiuta le persone già predisposte a curare sé stesse e a evitare il fumo. Ma l’idea di trasgressione e di ‘autodistruzione’ resta troppo affascinante per molti ragazzi, anche al netto delle campagne. Mi spiego: in tanti sfuggono proprio volontariamente alla prevenzione! Ne sono immuni, insomma. E solo intorno ai vent’anni, fumare – da comportamento sociale che era – si trasforma in atto esclusivamente individuale, anche perché assumere la nicotina nel frattempo è diventato soprattutto una necessità fisica, per chi aveva cominciato a fumare a 15 anni. Però ecco, questo vizio è anche una questione di modelli e messaggi».

Cioè? 
«Cioè che siamo sempre stati bombardati da messaggi positivi legati al fumo: le sigarette in mano a qualcuno esprimono sicurezza di sé, esperienza, bellezza, forza. Basti pensare ai film o ai manifesti pubblicitari: il fumo risulta ‘affascinante’. Ed è chiara, in questo senso, la responsabilità dei mass media».

Anche la disparità di genere in merito (fumano più le ragazze dei loro coetanei maschi, ndr) si spiega coi modelli? 
«Sì, è sempre una questione di modelli. La società spinge le ragazze ad apparire – prima che a essere – ‘disinibite’, e cosa storicamente garantisce questa sensazione meglio di una sigaretta? Basti pensare alla femme fatale fumatrice, retaggio dagli anni Venti: sicura di sé, esperta, bella. In più mettiamoci che il fumo diminuisce l’appetito, e in molte (ma in realtà vale anche per i maschi) ne fanno uso per tenersi ‘in forma’».

A questo punto quale potrebbe essere un intervento efficace? 
«Trasformare i pacchetti in veri ‘oggetti di morte’ – brutti, poco appetibili – può influenzare i ragazzi. E aumentarne i prezzi attraverso la tassazione, anche».

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