"In queste ore, all'esterno dei Pronto Soccorso di vari ospedali, stiamo allestendo delle tende specificamente attrezzate che possono essere estremamente utili per molte necessità. Siamo sul pezzo. Già adesso disponiamo di strutture come queste per un totale di 900 posti, che mettiamo in campo, prevedendo anche il peggio, per fungere da polmone di sfogo in caso di arrivo di molti pazienti". Lo dice il Presidente della Regione del Veneto Luca Zaia. ANSA

Successo del Modello VenetoDove il virus infetta menoche nel resto dell'Italia

La Regione registra il triplo dei malati Lombardia, casi decuplicati in 14 giorni

Nei giorni in cui assistiamo a una crescita esponenziale dei casi di contagiati dal Coronavirus, specialmente nelle Regioni del Nord, c’è un luogo dove non si verifica più questa questa curva: il Veneto. Insieme a quelli della Lombardia è stato uno dei primi focolai, con il comune di Vò Euganeo (nel padovano) divenuto zona rossa nei primi momenti della diffusione del virus, ma i contagi sono stati contenuti. Lo scorso 29 febbraio in Lombardia c’erano 552 positivi, in Emilia-Romagna 213, in Veneto 189, in Piemonte 11, nelle Marche 11. Secondo gli ultimi dati forniti ieri dalla Protezione Civile, i casi ora sono 5.469 in Lombardia, 1.386 in Emilia, 744 in Veneto, 350 in Piemonte e 323 nelle Marche.

Si può notare quindi che in Lombardia i casi si sono decuplicati, in Emilia sono più che quintuplicati e in Piemonte e nelle Marche sono cresciuti di più di 30 volte, pur partendo da cifre iniziali molto basse. In Veneto invece sono poco più che triplicati. Chiaramente, analizzando questi numeri, va sempre ricordato che la Lombardia, oltre ad avere più del doppio degli abitanti del Veneto (10,4 milioni contro 4,9 milioni), ha avuto una zona rossa estesa a dieci comuni. Comunque i tassi di crescita del contagio sono troppo dissimili per essere probabilmente solo una questione demografica alla base delle differenze.

Una spiegazione ha provato a fornirla Andrea Crisanti, direttore dell’Unità complessa diagnostica di microbiologia della Asl di Padova, che in un’intervista a La Repubblica ha spiegato che “noi (in Veneto, ndr) il virus non l’abbiamo aspettato, lo siamo andati a cercare facendo tamponi a tappeto”. Secondo Crisanti infatti, “per controllare un’epidemia ci sono due misure cardine. La prima: l’isolamento dei positivi. La seconda: l’identificazione attiva dei casi” e “in Veneto c’è stata una capacità di identificazione precoce che il resto d’Italia non ha avuto, e che ci ha permesso di disporre subito efficaci misure di contenimento”. “In Lombardia hanno fatto altre scelte – sottolinea il virologo – i casi tendono a non vederli tutti, nel senso che di fronte all’esplosione di diversi focolai, hanno cominciato a dire alla gente di andare in ospedale solo se avevano difficoltà respiratorie forti. Ma se non fai la diagnosi, finisce che limiti la possibilità di attuare misure di sorveglianza attiva”.

Effettivamente, andando a vedere il numero aggiornato dei tamponi eseguiti, possiamo vedere che a fronte di una popolazione doppia, in Lombardia hanno effettuato poco più di 20.000 test e in Veneto 15.000, una differenza minima se confrontata con il dato demografico.

Marco Valentini

Marco Valentini nasce a Rieti il 14 marzo 1988, si diploma al Liceo Classico M.T. Varrone e successivamente consegue la laurea in Scienze dell'amministrazione pubblica e giudiziaria presso l'università di Teramo. Appassionato di politica, sport, cinema e serie tv.