Mascherine introvabili, così l’Italia riconverte le sue industrie

Qui gli aggiornamenti all’inchiesta, pubblicata lo scorso 20 marzo.

“L’emergenza ha vastità e velocità straordinaria, servono mascherine, perché gli italiani si contagino il meno possibile”. Domenico Arcuri, non appena nominato dal governo commissario straordinario per la gestione dell’emergenza Covid-19, è stato chiaro. All’Italia mancano centinaia di migliaia di tutele numero uno contro il virus: quelle mascherine che il nostro paese non produce in maniera massiccia, ma di cui ora ha un disperato bisogno.

Le mascherine che finora la Protezione Civile ha comprato e distribuito, anche grazie alla Consip, sono insufficienti. Secondo Angelo Borrelli al nostro paese ne servono circa 90 milioni al mese, dato che solo la Lombardia, a quanto dice il governatore Attilio Fontana, ne consuma circa 300mila ogni 24 ore. Nei giorni scorsi, poi, l’assessore al Welfare lombardo Giulio Gallera e il governatore della Regione Sicilia Nello Musumeci, hanno denunciato l’arrivo di mascherine simili “a un fazzoletto” o “a un panno per pulire il tavolo”. Lo stesso dicono alcune case di riposo nelle zone più colpite del Nord Italia.

Modelli diversi, quindi, da quelli validati (e progettati per lo più per massimo 8 ore di utilizzo, con alcuni riutilizzabili): le mascherine chirurgiche (in tessuto), le filtranti “per la collettività” e i dispositivi, più appropriati, di “protezione individuale” FFp2 e FFp3 (nella maggior parte dei casi in gomma, neoprene o silicone con filtri intercambiabili che proteggono dal 92%-98% delle particelle in sospensione nell’aria).

LA PRODUZIONE “NORMALE” NEL MONDO

Prima di questa emergenza la richiesta mondiale di mascherine si attestava su qualche milione di pezzi all’anno: il 90% della fornitura arrivava dalla Cina e il resto per lo più dall’India, dalla Turchia e da altri paesi asiatici (come Taiwan e Corea) (1). Lì il costo della manodopera è molto basso e quindi fino al 10 gennaio le mascherine venivano vendute ed esportate anche per pochi centesimi (fino a un massimo di una decina di euro per le FFp3). Ora, con la richiesta di milioni di pezzi in pochi giorni per un solo paese, il fabbisogno globale ha superato in modo esponenziale la produzione e alcuni privati ne hanno approfittato per alzare i prezzi (arrivando a 60-70 euro).

COSA STA FACENDO L’ITALIA

L’Italia, dunque, oltre a spingere le poche imprese specializzate come la Spasciani di Varese e la Gvs di Bologna a lavorare giorno e notte (con la seconda che può arrivare a 650mila modelli al mese), sta trasformando aziende del tessile e dell’abbigliamento in produttori di mascherine. È il caso ad esempio della Miroglio, azienda tessile di Alba (Cuneo), che ha deciso di mettere da parte l’alta moda per dedicarsi a questo prodotto, realizzando un prototipo in tempi record. Prevede una produzione di 600mila pezzi nelle prossime due settimane e dopo di circa 75-100mila al giorno. Anche Artemisia, impresa tessile in provincia di Mantova, ha fatto lo stesso. «All’inizio ero restìo – ha spiegato il titolare Stefano Bottura al Sole 24 Ore – ma poi l’Ospedale di Bergamo ci ha detto: qualsiasi cosa è meglio che usare le lenzuola tagliate. E allora abbiamo cominciato a produrne 10mila al giorno». Le aziende di capi in pelle Hostage e Pellemoda, ad Empoli, si sono invece coordinate per produrre da lunedì 100mila pezzi per il Comune, la Protezione Civile locale e l’ospedale cittadino. E intanto Sportello Nazionale Amianto, Confindustria Moda e Federmoda hanno presentato il più vasto piano ‘Riconversione industriale nazionale Emergenza Covid’. Solo Confindustria Moda ha raccolto già più di 200 candidature di aziende del settore. «Abbiamo ricevuto le direttive ufficiali ieri e corriamo contro il tempo – spiegano a LumsaNews da Sistema Moda Italia, che aderisce a Confindustria – stiamo cercando tutte le imprese che possano produrre mascherine validate dei tre tipi. Appena abbiamo un quadro preciso invieremo tutto al Commissario straordinario». Sarà lui eventualmente a coordinare i lavori e stabilire a chi andranno i dispositivi, mentre Ministero della Salute e Inail dovranno validare le fabbriche.

Il Commissario straordinario all’emergenza e Amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri

Non solo, l’Agenzia Industria Difesa sta dotando di impianti ad hoc una struttura manifatturiera di Torre Annunziata con l’Istituto Farmacologico Militare di Firenze. Nel frattempo si cerca materiale sul mercato. Lo scorso 15 marzo la Consip ha contrattualizzato forniture per oltre 30 milioni del modello chirurgico da tutto il mondo, mentre dalla Cina ne sono già arrivate circa 1 milione con voli appositi (per un prezzo di circa 1-3 euro l’una) e dall’India 200mila (2). Sempre con Pechino il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha firmato un contratto per una fornitura diretta di 100 milioni di pezzi, mentre la Commissione europea si è accordata per altri 2 milioni, di cui gran parte andranno all’Italia entro fine settimana prossima (3). E ancora ulteriori 2 milioni di mascherine arrivano da Grafica Veneta dell’imprenditore Fabio Franceschi. Snam, società milanese di infrastrutture energetiche, ha invece firmato per acquistarne 600mila FFp2/FFp3 per i territori più colpiti. In tutto ciò, per alleggerire il peso economico degli acquisti, il Partito Democratico chiede di far passare l’IVA su questi oggetti dal 22% al 5%.

Il presidente del Veneto Luca Zaia presenta con il titolare di Grafica Veneta Fabio Franceschi le mascherine che l’azienda ha prodotto

LE RICONVERSIONI EUROPEE E I PROBLEMI CON LA TURCHIA

A livello europeo, invece, dopo lo sblocco delle esportazioni da Germania e Francia, si stanno muovendo i colossi internazionali: prima di tutto il gruppo tessile spagnolo Inditex (proprietario del marchio Zara) e il francese LVMH (Louis Vuitton). Il primo, in particolare, si prepara a produrre 300mila dispositivi protettivi a settimana per tutto il Continente (4). Ma nelle stesse ore il nostro Paese ha dovuto bloccare commesse dal mondo per 27 milioni di pezzi (1). In particolare ci sono problemi con la Turchia. Lì sono presenti una trentina di aziende che producono le mascherine FFp2 e FFp3 e l’Italia ne ha acquistate centinaia di migliaia, ma il governo di Recep Erdogan le tiene bloccate alla dogana dell’aeroporto di Ankara dallo scorso 5 marzo.

Già il primo lotto è rimasto bloccato perché l’esecutivo turco ha deciso lo stop all’esportazione di materiale sanitario finché il Paese non avrà raggiunto uno stock sufficiente per affrontare la pandemia. Secondo il general manager della ditta la Turchia sarebbe in grado di produrre 50 milioni di mascherine alla settimana per tutta Europa, ma complice il braccio di ferro su Siria e immigrazione tra Bruxelles e Ankara è tutto in stand-by. Il premier Giuseppe Conte ha telefonato ad Erdogan per chiedere lo sblocco e si attende un via libera per Roma. Sblocco che dovrebbe affiancarsi a quelli dei dispositivi da Brasile ed Egitto fermi negli ultimi giorni, per un totale di 8 milioni di pezzi. Secondo Nicola Riva della Fiom di Lucca, però, altre migliaia di mascherine con filtri dalla Spagna sarebbero state bloccate alla dogana.

Il premier Giuseppe Conte studia nuove azioni per affrontare la situazione di emergenza in atto in Italia

Appare chiaro, dunque, che ogni aspetto dell’emergenza coronavirus in Italia, compreso il problema mascherine, può essere risolto solo con la collaborazione internazionale, altrimenti questa “guerra invisibile” sarà persa in partenza. Ma qualcosa, anche grazie all’intraprendenza delle nostre imprese, si sta muovendo.

 

1 – Fonte: Il Corriere della Sera

2 – Fonte: Agenzia Ansa

3 – Fonte: Note ufficiali del ministro degli Esteri Luigi Di Maio

4 – Fonte: Il Sole 24 Ore