"Dpcm scelta di emergenzaOra il Parlamento recuperiil ruolo nella democrazia"

Il costituzionalista Francesco Clementi intervistato da Lumsanews

In questi giorni ci siamo abituati a parlare del “nuovo dpcm” del premier Conte, anche perché in un mese ne sono stati pubblicati quasi dieci. I decreti del presidente del Consiglio dei ministri sono differenti però dai decreti legge che vengono abitualmente utilizzati dai governi italiani: i primi entrano direttamente in vigore senza passare al vaglio né del Parlamento, né del presidente della Repubblica, ma sono di rango inferiore a una legge (anche se vengono usati ugualmente). I secondi devono essere votati a maggioranza da Camera e Senato entro 60 giorni e passare la verifica di costituzionalità del Quirinale. In sostanza i dpcm servono a scavalcare ogni ostacolo in un momento di crisi profonda causata dalla pandemia di Covid-19.

La Costituzione prevede, all’articolo 77, l’utilizzo del decreto legge in casi straordinari di necessità e urgenza. Ma il problema subentra quando “l’uso di una fonte normativa di rango secondario – i dpcm – limita le libertà costituzionali come la libertà di circolazione sull’intero territorio nazionale”, scriveva Francesco Clementi, docente di Diritto pubblico comparato all’Università di Perugia, dieci giorni fa sul Sole 24 Ore. Contattato da Lumsanews il costituzionalista, che per primo ha sollevato la questione, ha fatto chiarezza sul tema.

“I poteri del presidente del Consiglio dei ministri si articolano lungo il sistema delle fonti a vario livello: dal punto di vista delle fonti di grado secondario uno dei poteri che ha è quello di poter adottare un decreto. Questo tipo di decreto ha uno spazio di intervento legato alla sua natura, essendo un atto di rango secondario nel sistema delle fonti, e che, appunto, per sua natura non può superare o modificare una legge. Peraltro l’uso eccessivo che si è avuto ha evidentemente, almeno parzialmente, marginalizzato in tutta la prima fase dell’emergenza la possibilità per il Parlamento di poter dire qualcosa in merito. Mi auguro che, quanto prima, si stabilizzino le regole dell’emergenza e che il Parlamento sia messo in condizione di controllare le scelte operate dal governo. È anche questo il senso della nostra democrazia rappresentativa. D’altronde, a maggior ragione in casi come questo, la forma è due volte sostanza.”

Perché procedere così e non con i decreti legge?

“Questa scelta di downgrading della qualità dell’intervento normativo in ragione dell’emergenza è certamente spiegabile e comprensibile sull’onda della necessità di dover decidere rapidamente. Tuttavia, lo è molto meno se diviene, al contrario, un’abitudine. Perché, appunto, la nostra forma di governo prevede che il Parlamento sia messo in condizione di esercitare la sua funzione appieno, senza alcuna riduzione. In questo senso, la posizione del presidente del Consiglio, che va rispettata per il suo ruolo e per le difficoltà che ha incontrato dentro quella che è una vera e propria guerra, oggi deve registrare un cambio di strategia delle scelte normative, superando quello che è stato un eccesso nell’utilizzo dei dpcm che va, senza dubbio, appunto, sanato. Insomma, il Parlamento deve essere chiamato in causa prima possibile per discutere le iniziative del governo, per ragionare e fare emergere le scelte adottate dal governo”.

Lei si concentra su tre aporie oggi sul Sole 24 Ore.

“Sì, in primis – come detto – in merito all’aggiramento del Parlamento con l’eccesso nell’uso della normativa secondaria. Poi sottolineo il mancato coordinamento con le Regioni che ha lasciato non pochi enti territoriali soli e divisi nelle scelte da adottare. E poi, ultimo ma non ultimo, registro ancora che non è emersa finora una sufficiente idea di “missione collettiva” contro l’emergenza, ossia quello che è il punto di forza che rende i cittadini davvero consapevoli delle responsabilità che personalmente hanno in casi come questi e che rende le norme concrete via via “messe a terra” chiaramente intellegibili e positivamente tollerabili per i cittadini. Ma si è in tempo, per fortuna, per recuperare”.

Tommaso Coluzzi

Tommaso Coluzzi è nato e cresciuto a Roma, ha ventiquattro anni, un sacco di macchinette fotografiche ed una laurea in Comunicazione. Ama scrivere di tutto e si interessa, in ordine sparso, di dinamiche culturali internazionali, cinema, musica e tutto ciò che è catalogabile in ambito artistico