HomeCronaca Foggia, nuovo incendio nel ghetto dei migranti. Ma questa volta non ci sono feriti

Foggia, nuovo incendio
nel ghetto dei migranti
Ma non ci sono feriti

Le baraccopoli una bomba sanitaria

la Confsal: "Vigili del Fuoco aggrediti"

di Serena Console30 Marzo 2020
30 Marzo 2020

Quando cala la notte nel ghetto di Borgo Mezzanone, a pochi chilometri da Foggia, i migranti illuminano i loro alloggi di fortuna allacciando abusivamente la corrente elettrica al generatore del vicino Cara. Nella baraccopoli, oltre 1.500 braccianti dormono e vivono in una trentina di strutture realizzate prevalentemente con lamiere e cartone, senza acqua potabile né luce.

Una condizione favorevole per incendi e roghi, soprattutto durante l’inverno, quando si cerca una fonte di calore accendendo un braciere o una stufetta elettrica malmessa.

Nella notte del 28 marzo, le fiamme sono divampate nel ghetto e, questa volta, nessuno dei migranti è rimasto ferito, come è invece successo ad aprile dello scorso anno, quando Samara Saho, un gambiano di 26 anni, ha perso la vita in un incendio divampato per un cortocircuito.

Sul posto sono intervenute sette squadre di Vigili del Fuoco che hanno operato per tutta la notte, fino all’alba, per domare il rogo. Ma l’intervento non è stato semplice, secondo quanto denuncia a LumsaNews Leonardo Iaccarino, dirigente del sindacato autonomo Confsal. “Una squadra dei vigili del fuoco – racconta – durante le fasi di spegnimento, è stata aggredita verbalmente e anche con spintoni da un centinaio di immigrati che, venendo meno al rispetto delle distanze di sicurezza anti coronavirus, hanno messo a rischio lo stato di salute dei Vigili del Fuoco”.

Le strutture dei ghetti, in cui è difficile rispettare le norme igieniche, sono una bomba sanitaria in questo periodo di emergenza dovuta alla pandemia del coronavirus. Nei luoghi insalubri delle baracche in cui manca tutto, il rischio che l’epidemia arrivi fino ai ghetti dei migranti di tutta Italia si fa sempre più reale. 

I migranti, che sono occupati nella filiera agricola locale, non dispongono dei dispositivi di protezione individuale e spesso molti sono costretti a vivere insieme in luoghi ristretti. In molte baraccopoli, nonostante gli interventi delle forze dell’ordine, è impossibile far osservare il distanziamento sociale o ottenere un igiene almeno accettabile. 

“Nelle tendopoli e nei container almeno c’è il bagno ma nei ghetti neanche quello”, racconta Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope, a Redattore Sociale. Piobbichi invita le Istituzioni a trovare una soluzione prima che i ghetti in cui trovano rifugio i migranti diventino nuovi focolai del coronavirus.

“La richiesta primaria è quella di portare via le persone dai ghetti. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di metterle negli alberghi ormai chiusi per l’emergenza. Oppure trovare una sistemazione ai migranti mobilitando il circuito e le competenze dello Sprar, ora rinominato Siproimi. O ancora collocarli nei beni confiscati alle mafie”, ha spiegato l’operatore alla testata che si occupa del sociale.

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