Fondi per Ricerca e Sviluppol'Italia arranca in Europaspende solo l'1,3% del Pil

Manca un'efficiente rete organizzata Per i nuovi poli investito solo lo 0,6%

Ricerca e sviluppo in Italia, un settore in crescita negli ultimi venti anni, ma sempre molto indietro rispetto ai colleghi europei. È quanto emerge da un focus di Chiara Brusini su ilfattoquotidiano.it, che mette in risalto la macchina organizzativa della ricerca, con un sostanziale gap del nostro Paese soprattutto con la Germania e gli stati scandinavi.

In Italia, infatti, si investono ogni anno circa 12 miliardi sulla ricerca applicata e lo sviluppo, con una spesa raddoppiata negli ultimi due decenni, ma lontana dagli oltre 60 miliardi investiti dalla Germania, che quindi spende in tutto il 2,8% del suo prodotto interno lordo. Rispetto al Pil Svezia, Austria e Danimarca fanno ancora meglio, superando la soglia del 3%, distaccando di molto l’Italia che in tutti questi anni non è andata mai oltre l’1,4%. Merito (o colpa, nel caso italiano) di una filiera dell’innovazione organizzata ed efficiente, come per esempio quella tedesca, che conta ben 24mila ingegneri e scienziati specializzati messi a disposizione delle aziende locali per sviluppare, naturalmente a pagamento, nuovi prodotti e processi di innovazione. Una rete organizzativa che lo scorso anno ha portato a chiedere oltre 25mila brevetti europei, contro i 4.100 italiani. Un’altra differenza sostanziale tra Italia e resto dell’Europa è la presenza, all’estero, di molti investitori privati che investono in ricerca e sviluppo, molti dei quali sono aziende leader nei propri settori, mentre in Italia non solo pochi investimenti arrivano dalle aziende, ma il 95% di essere ricade nella categoria delle “micro” imprese, così solo il 55% degli investimenti è arrivato dal settore privato, contro il 68% che le industrie tedesche mettono a disposizione.

Una possibile soluzione per la ripresa potrebbe arrivare dalle università, con la creazione – come spiega ilfattoquotidiano.it – di poli per il trasferimento tecnologico gestiti direttamente dagli atenei, con la fase due del piano Industria 4.0 del governo Gentiloni. La produzione scientifica dell’Italia è molto buona in tal senso, ma il vero problema, spiega Emilio Paolucci vicerettore per il trasferimento tecnologico del Politecnico di Torino, è non riuscire a trasformare i risultati scientifici in applicazioni concrete. I fondi che attualmente sono messi a disposizione sono però minimi, solo lo 0,6% del totale di quelli stanziati oer le tecnologie produttive avanzate. Spesso, inoltre, le piccole imprese non hanno al loro interne delle figure competenti in materia, come ingegneri specializzati o dottori di ricerca. Diventa quindi ancora più difficile il dialogo tra aziende e atenei, con la conseguente difficoltà nello sviluppare concretamente idee e tecnologie innovative.

introducendo anche questo parametro tra quelli considerati per le valutazioni. E occorre che le piccole imprese investano per assumere almeno un dottore di ricerca.

Salvatore Tropea

Classe 1992, dopo la maturità scientifica si laurea in Scienze della Comunicazione alla Lumsa. Collabora con il mensile locale calabrese L’Eco del Chiaro; con il giornale studentesco e la WebTV della Pontificia Università Lateranense e con il portale online farodiroma.it. Attualmente frequenta il Master in Giornalismo alla Lumsa, dopo aver frequentato il Master in Digital Journalism alla Lateranese e aver svolto due mesi di stage a Radio Vaticana. Con il Master in Giornalismo della Lumsa ha svolto tre mesi di stage presso la redazione de Il Venerdì di Repubblica e attualmente sta svolgendo uno stage di tre mesi presso la redazione italiana di Vatican News