India, liberi su cauzione i due marò italiani. Monti: «prossimo obiettivo il ritorno in Italia»

Riposo, soprattutto mentale, e riflessione. Momenti interrotti solamente dall’incombenza di una firma in commissariato. Scorrono così i primi giorni fuori dal carcere per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò diventati negli ultimi mesi un vero e proprio caso diplomatico capace di incrinare non poco i rapporti tra Italia e India. La mente è proiettata all’imminente processo, sperando che la loro libertà da parziale divenga definitiva.La scarcerazione. Dopo 104 giorni di prigionia, i due fucilieri della marina sono stati liberati su cauzione dopo che il tribunale di Kollam, nel corso dell’udienza preliminare del processo a loro carico, aveva stabilito l’ammontare della cauzione in 20 milioni di rupie (quasi 290mila euro). Una notizia che segue di qualche giorno un primo accoglimento delle richieste italiane con il trasferimento dal carcere di Treivandrum ad una struttura nella città di Kochi, gradita alla Farnesina.
La somma è stata versata da due cittadini indiani, Jyothy Kumar e Raj Mohan, interpellati dalla delegazione italiana per intercedere, viste le difficoltà che le nostre autorità hanno sempre trovato nel dialogare con i giudici indiani sin dal momento dell’arresto.
I due militari della Brigata S. Marco, in attesa che si concluda il processo, non potranno allontanarsi più di dieci chilometri dall’area sotto la giurisdizione della polizia di Kochi. Resta comunque pendente il ricorso presso la corte di New Dehli che mette in discussione la competenza dei giudici indiani sulla vicenda.

La storia. Era il 15 febbraio scorso quando Girone e Latorre, di scorta al mercantile italiano Enrica Lexie, in navigazione al largo delle coste della regione indiana del Kerala, scambiando un peschereccio indiano per una nave di pirati avevano sparato uccidendo due persone.
Da subito la dinamica era però apparsa poco chiara, con le versioni italiana e indiana nettamente contrastanti tra loro. L’accusa è di omicidio volontario ma il nodo centrale è rappresentato dal mancato rispetto del limite delle acque territoriali (che secondo una Convenzione internazionale del 1988 è di200 migliadalla costa); da qui le proteste ufficiali del Ministro degli Esteri, Terzi, che ha più volte definito «inaccettabile» la situazione e il ricorso per difetto di giurisdizione. Un aspetto ancora da definire ma che potrebbe far saltare l’intero processo.

Verso il processo. Grande soddisfazione espressa dal premier Monti. «Un obiettivo importante della nostra azione è stato raggiunto – il suo commento – ma la conclusione finale che vogliamo è il ritorno in Italia dei nostri militari». Nel frattempo, il 18 giugno si entrerà nel vivo con la prima udienza del processo. La diplomazia italiana, rappresentata dal console di New Dehli, Giampaolo Cutillo, spera per quella data di avere in mano elementi sufficienti per far tornare il prima possibile a casa i nostri militari.

Marcello Gelardini