"La fine del Muro ci liberòLa svolta, Craxi, Gorbaciovquante occasioni mancate"

Parla Achille Occhetto, ultimo capo Pci "Noi sconfitti ma non butto via tutto"

Quando, ormai trent’anni fa, il Muro di Berlino crollò, portandosi via tutto l’impero sovietico, Achille Occhetto era il segretario del più grande partito comunista d’occidente, il Pci. Già deputato, senatore ed europarlamentare, la sua vita politica per un certo periodo ha coinciso con quella della sinistra italiana. E’ lui l’artefice della svolta della Bolognina, il tormentato processo che, accelerato dalla caduta del Muro, ha portato allo scioglimento del Pci e alla nascita del Partito Democratico della Sinistra, nel 1991.

Onorevole, se dico Muro di Berlino cosa le viene subito in mente?

«Osservando le picconate dei berlinesi capii che avevamo visto giusto. Già da tempo noi del Pci criticavamo Mosca e chiedevamo una riorganizzazione del socialismo internazionale, sapendo che al di là del Muro non c’era vero socialismo ma soltanto regimi autoritari. Per noi fu un evento liberatorio, finalmente saltavano pesanti e vecchi motivi di divisione, nella società e nella sinistra, e potevamo tornare a parlarci. Non cadde solo il Muro di pietra ma anche quello ideologico e questo accelerò un processo già in atto, la svolta della Bolognina, il più grande rinnovamento della sinistra italiana accompagnato a un vero tentativo di unità coi socialisti. Che si sia parlato così poco della svolta, del suo contributo culturale e politico, è una infamia storica».

Nelle ore delle picconate quali furono i sentimenti a Botteghe Oscure e nella base?

«Furono ore drammatiche ma scegliemmo di fare politica, dando il via a una grande discussione democratica come non avveniva dal 1945: nelle sezioni, fabbriche, università e case di tutta Italia ci si divise sul destino del partito comunista. Fu un miracolo, anche se lo spirito dell’iniziativa nel Paese fu spesso confuso e ridotto al famoso cambio del nome, come fece Moretti col suo film La cosa».

Così nacque la svolta della Bolognina.

«Già da prima io volevo superare il Pci in favore di una costituente delle idee aperta a tutti: laici, cattolici, socialisti, associazioni. Per questo annunciai la svolta in un circolo di partigiani, perché doveva essere una seconda resistenza, un processo inclusivo, un riformismo di tutti. Anche i temi erano nuovi, come la questione ambientale, a quel tempo assolutamente fuori moda. Per quel dibattito si sfasciarono famiglie ma ne valse la pena: al congresso del 1991 quasi il 70% dei consensi premiò la mia linea, mettendo in soffitta il Pci in nome della contaminazione. Il progetto non andò come io speravo, ma l’unica stagione felice di governo e alleanze della sinistra, quella del primo Ulivo, è figlia della svolta. Peccato che la sinistra non abbia ancora imparato la lezione».

Quali furono le conseguenze politiche della caduta del Muro in Italia?

«La campana del nuovo inizio suonò per tutti ma diversi non se ne accorsero. Noi comunisti volevamo sfruttare l’onda lunga dell’avvenimento e la nuova libertà per allargare il campo della sinistra e compattarla. Tentammo di fare un partito unico con i socialisti, per provare ad andare insieme al governo. Ma Craxi lo impedì, facendoci una controproposta arrogante e irresponsabile. Per lui il Pci doveva passare sotto le forche caudine e sciogliersi nel Psi, una cosa impossibile. Poco dopo Craxi e il suo partito furono travolti dall’inchiesta Mani Pulite, manifestazione di giustizia che poi però è diventata terreno fertile di giustizialismo e populismo. Sono stati proprio i populisti, in primis la Lega Nord, ad approfittare della caduta del Muro al posto nostro. E nel blocco dell’Est nuovi regimi autoritari di destra si imposero al posto di un socialismo finalmente democratico. Ci furono tante speranze, spesso disattese».

Dopo il Muro cadde l’Urss, voi comunisti siete stati sconfitti dalla Storia?

«La Storia forse ci vede sconfitti, ma alcune battaglie, come la lotta a fianco di operai e contadini, non si possono buttare via. Nel contesto storico mondiale noi comunisti italiani fummo originali e diversi, anche se non innocenti, perché nei fatti succubi dello stalinismo. Rivendico di essere stato favorevole alla riunificazione della Germania prima di tanti, anche di Andreotti che diceva di preferirne due, di aver parlato di ambiente e Amazzonia, suscitando l’ironia di Craxi che parlò di terzomondismo, e di aver creduto nell’integrazione europea».

Oggi cosa resta del Muro di Berlino?

«Una grande lezione di libertà contro gli autoritarismi e il rimpianto per le occasioni mancate. Ricordo con grande affetto i miei incontri con Michail Gorbaciov (ultimo segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e autore del processo riformatore denominato Perestrojka, ndr), fu grazie a lui che l’impero dell’Urss si dissolse senza spargimenti di sangue. Se al suo posto ci fosse stato Breznev (Leonid, segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica dal 1864 al 1982, ndr) sarebbe finita male. Peccato che la Russia non era ancora matura per un grande uomo e socialista democratico come lui e preferì Yeltsin (Boris, primo presidente della Federazione Russa dal 1992 al 1999, ndr), come purtroppo pure l’Occidente».

Giulio Seminara

Nato a Catania il 6 dicembre del 1991. Diplomato al liceo classico e laureato in Lettere Moderne con una tesi su Pier Vittorio Tondelli. Ha lavorato a LA7 come programmista e scritto per diversi quotidiani. Appassionato di cinema, politica e calcio. Gioca a ping pong, ascolta i cantautori e i Placebo.