La sfida social di Papa Francesco

“Cari amici è con gioia che mi unisco a voi via Twitter”. È il 12 dicembre 2012: con queste parole inizia quella che nella storia della Chiesa rappresenta una vera rivoluzione. Il vicario di Cristo in Terra, abituato per duemila anni a parlare di sé in terza persona e a usare il pluralis maiestatis come si addiceva a un sovrano dei secoli passati, sbarca sulla piazza virtuale dove spopolano teenager e influencer e si presenta: “Buongiorno, sono Papa Benedetto XVI”.

Già Giovanni Paolo I aveva abbandonato il “noi” usato ancora da Paolo VI specie nelle occasioni più solenni, ma il salto che la comunicazione della Chiesa compie quel giorno di dicembre è storico, come storico fu l’arrivo di internet in Vaticano, nel Natale del 1995, grazie a Papa Giovanni Paolo II. Papa Benedetto, quindi, inaugura su Twitter l’account ufficiale @Pontifex ed inizia la comunicazione social del Vaticano che vanta numeri impressionanti e in continua crescita.

A oggi, i follower di @Pontifex, account ora ereditato da Papa Francesco, sono circa 52 milioni, 5 milioni solo per quello italiano (@Pontifex_it). Su Instagram, invece, l’account @Franciscus conta 8,3 milioni di seguaci, mentre su Facebook, nonostante non ci sia un account ufficiale del Santo Padre, la pagina Vatican News ha 4,5 milioni di iscritti.

“Negli ultimi anni il Santo Padre ha aperto anche un account personale sulla nuova piattaforma Click to Pray, gestita in sinergia con la Rete mondiale della Preghiera del Papa”, racconta Nataša Govekar, a capo della Direzione Teologico – Pastorale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. Click to Pray è l’innovativa applicazione che permette ai fedeli di unirsi virtualmente per pregare per le grandi sfide dell’umanità e per la missione della Chiesa. Ogni giorno, infatti, sono proposti  tre brevi momenti di raccoglimento in connessione con migliaia di persone in tutto il mondo. Ad oggi, sono già stati raggiunti 2,5 milioni di utenti.

Prima di analizzare la comunicazione social del Santo Padre, che, come spiega Anna Maria Lorusso, docente di semiotica all’Università di Bologna, è “uno dei fenomeni comunicativi più interessanti della nostra contemporaneità” per temi trattati e scelta dei media, è necessario capire in che modo la Santa Sede divulghi i suoi messaggi.

Nel 2018 viene designato alla guida della comunicazione vaticana il giornalista Paolo Ruffini. La nomina arriva direttamente da Papa Francesco, intenzionato a proseguire una riforma chiave del suo pontificato, ovvero l’istituzione di un Dicastero della Comunicazione che comprenda tutti i media. Un progetto che era stato già iniziato da monsignor Dario Viganò, precedentemente responsabile della comunicazione della Santa Sede. Il dicastero, quindi, riunisce l’Osservatore Romano, Radio Vaticana, il sito web Vatican News, gli account social, il Centro televisivo vaticano, la Sala stampa e la Tipografia vaticana. Il dicastero conta oltre 500 persone, quasi la metà giornalisti, e permette di diffondere informazioni in oltre 40 lingue in tutto il mondo.

Sono stati 250 milioni gli articoli di Vatican News letti nel 2020, con punte di 46 milioni al mese nel periodo del primo lockdown. Radio Vaticana diffonde 12 mila ore di trasmissioni all’anno ed è ritrasmessa da oltre mille emittenti in tutto il mondo. @Pontifex twitta in nove lingue e nel 2020 i cinguettii sono stati visti 35 miliardi di volte.

L’utilizzo dei social network è stato un altro dei modi con cui il Papa ha cercato di avvicinarsi alla pratica quotidiana delle persone” spiega la professoressa Lorusso. Al di là di tutte le occasioni comunicative del Pontefice, come le omelie, le lettere apostoliche e le encicliche, attraverso i social Francesco è riuscito non solo a raggiungere un insieme di persone estremamente più vasto ma a cercarle nella loro quotidianità, richiedendo anche una lettura meno impegnativa. Leggere un’enciclica o ascoltare un discorso comporta un certo sforzo intellettivo, per leggere un tweet, spiega ancora Annamaria Lorusso, bastano pochi secondi.

 “Direi che lo ‘stile Francesco’ è essere lui stesso medium e messaggio e questo spiega anche perché non accetti di farsi dettare l’agenda dei suoi interventi dagli esperti di comunicazione” osserva monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti. Bergoglio, come raccontato dal vescovo, non è un Pontefice che si adegua in modo pedissequo ai diktat della comunicazione digitale ma si impone con la sua fisicità e con il suo pensiero che non è trasponibile semplicemente attraverso i linguaggi ma ha una sua originalità legata al messaggio evangelico. Della stessa idea è Filippo Sensi, deputato e blogger, che aggiunge: “La comunicazione di Francesco è anche una comunicazione politica, perchè questa personalità dei suoi account social non è esclusivamente una personalizzazione ma è il farsi ‘persona social’ del messaggio del Pontefice”

È una narrazione crossmediale, ideata per le diverse piattaforme già in fase progettuale, ma è anche puntuale, pulita e pastorale, come osserva Sensi, e in grado di ovviare alle criticità che può sperimentare qualsiasi protagonista della vita pubblica. Engagement troppo aggressivi e polemiche, conclude il deputato, “non solo sono stati tenuti ben presenti ma anche evitati”.