HomeCronaca “Le azioni di ripopolamento hanno causato un surplus del numero di cinghiali”

"Le azioni di ripopolamento
hanno causato un surplus
del numero di cinghiali"

Gubbiotti di Roma Natura

"La riproduzione è fuori controllo"

di Paola Palazzo28 Marzo 2022
28 Marzo 2022

Maurizio Gubbiotti è presidente dell’Ente regionale Roma Natura. In passato ha fatto parte della Segreteria nazionale dell’associazione ambientalista Legambiente

Perché c’è questa grande diffusione del cinghiale nel nostro Paese? 

“In Italia c’è l’emergenza cinghiale, non si può negarlo. C’è un surplus di questa specie selvatica che dal punto di vista della biodiversità è un problema perché numericamente predomina su altre specie animali e vegetali. Questo surplus è dovuto alle politiche di ripopolamento degli ultimi decenni avviate dagli ambiti territoriali di caccia. Da una parte si è  cacciato troppo il cinghiale italico che è di piccola dimensione, arrivano massimo a 70 chili un paio di cuccioli una volta l’anno quindi del tutto compatibili. Di conseguenza le azioni di ripopolamento hanno portato dentro il nostro territorio specie provenienti dai paesi dell’est, di dimensioni molto più grandi (il maschio adulto pesa 150 kg) che hanno perso la stagionalità dei calori a causa dei mutamenti climatici e quindi partoriscono anche due e tre volte l’anno con una media di 10 capi a cucciolata. È evidente che in una situazione come questa la riproduzione del cinghiale è andata velocemente fuori controllo”. 

 

Parliamo dell’emergenza cinghiale a Roma…

“Roma è circondata da tanti corridoi ecologici, come il Parco regionale di Veio che entra in contatto con la Toscana e che inevitabilmente rappresenta un passaggio naturale per molti cinghiali. La Capitale si trascina da anni un grande problema: il quantitativo di rifiuti lasciati per strada. L’unico motivo per cui un animale selvatico esce dal proprio habitat è per la ricerca del cibo. E alimentarsi da una città sommersa dai rifiuti è molto più semplice rispetto alla caccia nei boschi. L’eccedenza di questo animale oltre a minare la biodiversità, danneggia l’agricoltura, spaventa le persone,  e può essere un rischio sul fronte sanitario con tutte le patologie che possono passare dall’animale all’uomo”. 

Cosa si può fare per arginare il problema?

“A questa emergenza si risponde diminuendo i capi. Al momento l’unica strada percorribile è quella della macellazione. Nel frattempo lavorare a politiche che evitino il ripetersi del fenomeno. Da una parte sono i parchi a dover occuparsi dei piani di contenimento, che passano attraverso catture, abbattimenti selettivi ecc. Su Roma l’ente più importante è Roma Natura. Io sono contrario all’abbattimento selettivo nei parchi perché siamo in città e non si può sparare in zone urbane. L’altra possibilità è quella di conferire i cinghiali in zone faunistiche venatorie. Ma anche questa strada ritengo sia troppo stressante per l’animale. Al momento stiamo procedendo con la cattura in gabbie dell’animale e il suo conferimento all’industria di trasformazione della carne. Negli ultimi anni abbiamo preso un migliaio di capi ma non è semplice perché avviene tutto nella città, dove le gabbie devono essere posizionate in luoghi molto ampi per evitare che risultino un rischio sia per le persone che per gli animali domestici. 

In ogni caso, tutto questo non può avvenire senza prima rimuovere i rifiuti dalle strade e sistemare le recinzioni intorno ai parchi. Sono cose in capo al Comune. Tutto quello che succede ai parchi è nostra responsabilità. Inoltre, non aiutano i focolai di peste suina che hanno investito l’Italia negli ultimi mesi. Anche se il Lazio non è una regione a rischio, l’Asl ha messo in atto uno strumento preventivo che ci obbliga a mandare al macello i cinghiali entro 5 giorni dalla cattura. Tempistiche che per motivi logistici sono difficili da rispettare”.  

Regione Lazio e il Comune di Roma come si sono attivati per contenere la diffusione di questo animale? 

“Dal 2019 è attivo un protocollo d’Intesa tra Regione Lazio e Roma Capitale per la gestione del cinghiale. Ma si tratta di uno strumento che non ha mai funzionato, costruito in maniera sbagliata perché segnato da un impianto animalista voluto dalla vecchia amministrazione, che non è negativo di per sé ma si allontana del tutto dalla soluzione. Secondo questo protocollo, ad esempio, la cattura prevede l’utilizzo della telenarcosi con farmaci che poi comprometterebbero la trasformazione della carne. È giusto avere un approccio animalista al problema, ma in alcuni casi l’uccisione dell’animale è obbligatoria. 

Sempre nel 2019 la Giunta regionale ha avviato un secondo Protocollo di intesa, sottoscritto da Federparchi, Coldiretti e Legambiente per facilitare la pratica della cattura del cinghiale in tutti i parchi della regione”.

Quali altri interventi potrebbero essere efficaci?

“Lavorare sulla sperimentazione rispetto alla sterilizzazione. Oggi non esiste somministrare la sterilizzazione attraverso gli alimenti. Ci sono solo due possibilità: inoculare agli esemplari femmina sottocute all’altezza della testa del femore un contraccettivo a rilascio prolungato che per tre anni evita di andare in calore. Ma è una soluzione solo temporanea. La seconda è uguale alla sterilizzazione che si fa su cani e gatti, con difficoltà e costi pazzeschi. Associazioni ambientaliste, come Leidaa, ci hanno proposto di sottoscrivere un protocollo con il quale si sarebbero fatti carico della sterilizzazione dei cinghiali catturati. Un’intesa che non si è mai raggiunta perché le associazioni non sono riuscite a garantire una serie di procedure legate al fatto che il cinghiale è patrimonio indisponibile dello Stato, quindi posto sotto tutela”. 

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