Il docente di Diritto dell’informazione e della comunicazione Ruben Razzante

"Conversazioni siano libereper tutelare e garantirela democrazia della Rete"

Ruben Razzante spiega a Lumsanews "Vigilare sulle informazioni sul web"

Ruben Razzante è docente di Diritto dell’informazione e della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano, l’Università Lumsa di Roma e la Pontificia Università della Santa Croce. È giornalista professionista e fondatore di un portale online sul diritto dell’informazione. Noi di Lumsanews gli abbiamo chiesto di spiegare presupposti e limiti della democrazia in rete.

Quanto possono e devono essere libere le conversazioni sulle app di messaggistica?

“La conversazione nei luoghi virtuali dev’essere libera perché altrimenti viene meno la democrazia della Rete. Il pluralismo delle opinioni è il sale della democrazia e quindi va valorizzato. Ma un conto è il libero esercizio del diritto di critica, protetto dalle legislazioni internazionali e nazionali, altra cosa è la libertà d’insulto o la diffusione di contenuti d’odio o, ancora, la propagazione di fake news o il compimento di reati come il revenge porn o il cyberbullismo. A fronte di segnalazioni, le autorità sono chiamate a intervenire”.

I messaggi scambiati su gruppi da 200 mila utenti possono essere considerati conversazioni private, e quindi rientranti nella sfera d’azione dell’articolo 15?

“Le chat e i gruppi privati chiusi sono protetti dall’articolo 15 della Costituzione, che tutela la libertà e segretezza della corrispondenza tra soggetti determinati. Se, però, in questi gruppi si commettono reati, chi li scopre può denunciare tali condotte alle autorità competenti. Ad esempio, se una persona scopre, grazie alla delazione da parte di uno dei suoi partecipanti, di essere stata diffamata in una chat, può certamente denunciare l’autore delle offese e tutti i partecipanti al gruppo”.

Può il diritto d’autore convivere con la divulgazione di quotidiani su Telegram?

“Il diritto d’autore sulle opere creative, anche di natura giornalistica, va protetto. Sono stati chiusi tanti canali Telegram che diffondevano gratuitamente contenuti giornalistici o intere edizioni di quotidiani o rassegne stampa. Violare il copyright sugli articoli è un reato. La nuova disciplina derivante dalla direttiva europea del 2019, in via di recepimento in tutti gli Stati del Vecchio Continente, rafforza tali tutele e vincola le piattaforme on line a riconoscere un compenso ai produttori di contenuti”.

Perché oscurare chat Telegram non è una limitazione della libertà di espressione?

“Il confine tra censura di contenuti leciti e repressione di reati è spesso molto labile. Oscurare chat che diffondono messaggi d’odio o di istigazione alla violenza è doveroso. Censurare, invece, libere opinioni può rivelarsi un abuso e una limitazione della libertà della persona, nella misura in cui la manifestazione di quelle opinioni non integra gli estremi di reati”.

Pensa sia necessario agire su Telegram e app di messaggistica simili, per tutelare interesse pubblico, sicurezza nazionale e buon costume? Se sì, come?

“Bisogna vigilare maggiormente sulla circolazione delle informazioni in rete, perché nello spazio virtuale c’è davvero di tutto. Tramite app o canali come Telegram si può arrivare anche a condividere informazioni di natura terroristica o piani sovversivi e dunque occorre proteggere la sicurezza nazionale e tutelare l’ordine pubblico. Occorre inasprire la vigilanza e intensificare i controlli a fronte di segnalazione di situazioni dubbie. L’equilibrio tra libertà d’espressione e responsabilità è molto delicato ed è un dovere di ciascun utente, ma è necessario che i gestori delle piattaforme cooperino con le autorità nella lotta contro i reati online, senza entrare però a gamba tesa nel libero confronto di idee”.

 I gruppi Telegram sono una forma privata di manifestazione di pensiero o una forma di “e-democracy” ?

“Andrei cauto nei ragionamenti sulla democrazia elettronica. Abbiamo visto come sono andate a finire esperienze di movimenti italiani che hanno enfatizzato la dimensione della e-democracy ma poi, dietro il paravento dell’euforia partecipativa, hanno utilizzato piattaforme web per manipolare le opinioni degli iscritti, indirizzandole verso finalità predeterminate. Non potrà esserci e-democracy su Telegram o in altri luoghi simili, fino a quando permarranno opacità e indeterminatezza delle regole d’ingaggio e delle modalità di esercizio dei diritti, in primis quello di manifestazione del pensiero”.