La strage live sui social"Sembrava un videogiocola fiction plasma la realtà"

L'esperto: "Il problema non è Facebook un fenomeno impensabile dieci anni fa"

Non si era mai visto, né si poteva pensare, che un terrorista riuscisse a mostrare il video dell’attentato mentre lo compiva. È tuttavia accaduto in Nuova Zelanda, nella tragedia in cui hanno perso la vita 49 persone. La diretta Facebook di 17 minuti è la prima volta nella storia della comunicazione in cui un attentato viene ripreso live. Abbiamo parlato delle radici e degli effetti di questo modo di comunicare con il professore di scienze della comunicazione dell’Università Lumsa, Piero Polidoro.

La possibilità di trasmettere il video attraverso una diretta su Facebook può avere indotto il terrorista a compiere il gesto?

“Non è che siccome in passato non c’era la diretta Facebook non si sono compiuti attentati. Se la motivazione è quella di avere un palcoscenico, le persone lo hanno sempre trovato. L’anarchico che all’inizio del Novecento sparava al re, lo faceva sulla pubblica piazza per farsi vedere. In questo caso specifico ha trovato questo modo perché questi sono i mezzi che la società mette a disposizione. Ma l’avrebbe fatto lo stesso”.

 

Facebook può essere considerata un’arma?

“Il problema è che se ragioniamo troppo sui social media, perdiamo di vista uno degli aspetti più importanti. Non li ha ammazzati con Facebook. Aveva cartucce, armi, esplosivi. Il problema non sono i social media, ma che si è riuscito a procurare un arsenale con cui ammazzare queste persone”.

 

Perché ha scelto di usare Facebook per mostrare il suo attacco terroristico?

“Quello che mi ha colpito è la sovrapposizione fortissima di quel video con un certo tipo di immaginario. Perché quel filmato, complice il fatto che è stato ripreso con una go pro, ha l’impostazione dei “first person shooter”, ovvero un genere di videogiochi come “Call of Duty”, “Medal of Honor” e “Battlefield”. Sparatutto in cui si vede la soggettiva del protagonista ovvero la canna del fucile. La fiction plasma la realtà”.

 

Qual è il messaggio che voleva trasmettere?

“Non è un messaggio. Le persone vivono ambienti in cui si cibano di schemi visivi e immagini alle quali si abituano, che poi diventano parte del mondo che vivono. Abituandosi a quel tipo di immagini, all’attentatore è venuto in mente che avrebbe potuto riprendere quell’evento ed esattamente in quel modo. Lo schema visivo che l’attentatore aveva visto nei videogiochi è diventato ispiratore del modo in cui l’avrebbe ripreso”.

 

Ci saranno altri casi come questo?

“Nei casi, come questo, di mass shooting, annunci su Facebook ci sono già stati. Nuovo è solo il modo in cui è stato reso. Però, naturalmente, ci troviamo di fronte ad un fenomeno che dieci anni fa era impensabile”.

Alessandro Rosi

Il basket lo appassiona mentre la scrittura lo emoziona. Nato a Roma nel 1989, intraprende la carriera giuridica fino ad ottenere l’abilitazione alla professione forense, ma nel frattempo viene stregato dal mondo del giornalismo. Come dice John Lennon: “La vita è ciò che ti succede mentre stai facendo altri progetti”.