"Con il microdosing i pazienti fragiliscatenano una vulnerabilità"

Lo psicologo clinico Vincenzo Caretti "È un fenomeno ancora controverso"

“Non sono queste sostanze a garantire il successo di un trattamento”, che, invece, “si basa sull’alleanza terapeutica, ovvero sul rapporto che si instaura tra terapeuta e paziente”. Vincenzo Caretti, psicologo clinico e psicoanalista, spiega a Lumsanews qual è il ruolo del microdosaggio di psichedelici in ambito terapeutico e il pericolo che possano diventare una “moda” anche in Italia, come sta già accadendo negli Stati Uniti. 

Vincenzo Caretti, psicologo clinico

 Come nasce il microdosaggio di psichedelici nell’ambito dei trattamenti psichiatrici?

“Per rispondere sono necessarie delle premesse. Dobbiamo risalire a quando è stata scoperta l’LSD (una tra le più potenti sostanze psichedeliche conosciute, ndr.) da parte dal chimico svizzero Albert Hofmann che immediatamente iniziò a distribuire questa nuova sostanza nei dipartimenti di medicina di tutto il mondo, perché aveva avuto l’intuizione che potesse avere un ruolo nella cura della sofferenza psichiatrica”. 

E in Italia?

“Ciò che pochi ricordano è che questo tipo di ricerche vennero svolte da Emilio Servadio già negli anni Sessanta. Si tratta di una figura fondamentale nella psichiatria e nella psicoanalisi italiana che, per primo, mette in dubbio l’uso terapeutico dell’LSD”. 

Questi dubbi riguardano anche il microdosing?

“Certo. Una serie di ricerche, recentemente, si sono occupate della questione. In particolare quelle svolte all’Imperial College di Londra. Ci sono esperimenti che hanno smentito l’uso e l’efficacia del microdosaggio di psichedelici, come anche dell’MDMA, per quanto riguarda la cura della depressione e dei disturbi psicotici. Si tratta quindi di una questione controversa”.

Ci può dare dei numeri? 

“Non ci sono ancora ricerche consolidate ed effettuate su notevoli campioni in merito all’efficacia di questo tipo di trattamento. Pertanto, dobbiamo mantenere una certa prudenza riguardo la prospettiva che questo trattamento farmacologico-psichiatrico possa essere considerato una cura per i pazienti”.

Ma come funziona esattamente? 

“Il microdosaggio della psilocibina o dell’MDMA ha la funzione di slatentizzare quelle emozioni che il paziente non riesce a riconoscere nell’ambito della sua esperienza soggettiva o a comunicare agli altri. In altre parole, sono sostanze che tendono a disinibire le “difese” che impediscono alla persona di poter essere più autentica nell’esprimere la propria vita interiore”. 

Quindi sono essenziali per una terapia?

“Va chiarito che non sono queste sostanze a garantire il successo di un trattamento poiché, in verità, è basato sull’alleanza terapeutica, ovvero la relazione che si instaura tra terapeuta e paziente e che risulta come il fattore aspecifico di guarigione. Ciò sta a significare che la relazione umana che si stabilisce costituisce il fattore di cura più importante”.

Ci sono rischi e controindicazioni del microdosing

“I rischi sono legati alla personalità del paziente. Nei casi borderline possono slatentizzare ulteriori vulnerabilità attraverso l’uso di questo tipo di sostanze e possono addirittura provare esperienze di carattere psicotico. Il terapeuta che non è capace di fare una diagnosi accurata può illudersi che attraverso l’uso di queste sostanze possa impiantare più facilmente un trattamento specifico. Ed è un errore gravissimo”.

I pazienti possono approcciarsi al microdosing anche in autonomia?

“Dipende dal funzionamento della personalità. Le persone che hanno un grado di sicurezza identitario e interpersonale possono trarre un arricchimento da questo tipo di esperienze. Il problema è che rischia di diventare una moda”.