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Morire di lavoro, la strage corre con l’aumento del Pil

di Francesca Funari22 Marzo 2022
22 Marzo 2022

Di lavoro e sul lavoro si continua a morire, anche nel 2022. Nelle fabbriche, nei campi e nelle serre, nei cantieri edili, nei magazzini, in mare, su mezzi di trasporto, nelle strutture ospedaliere, per strada. È il caso di Vasyl Syrotiuk, 51 anni, ucraino, morto precipitando dal solaio di un edificio in ristrutturazione a Bologna il 13 marzo. Oppure di Sara Viva Sorge, infermiera ventiseienne di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, vittima, a metà febbraio, di un incidente stradale dopo un turno massacrante a lavoro. Come loro anche Graziano Del Corso, 58 anni, morto a Verona per l’incendio dell’azienda di vernici dove lavorava da una vita, a un passo dalla pensione. L’elenco è lungo, tanto lungo a tal punto che le persone diventano numeri, troppi anche questi, oltre mille nell’anno passato, e dietro ogni morte, una famiglia devastata dalla perdita. 

Nel 2021 si è registrata una diminuzione di decessi sul lavoro del 3,9% rispetto al 2020 e i numeri riportati dall’Inail siano inferiori a quelli emersi prima della pandemia. “Ma non bisogna trascurare che negli ultimi due anni l’economia ha subito un forte rallentamento e molte attività a rischio hanno ridotto il volume di lavoro”, osserva Federico Maritan, direttore dell’Osservatorio sicurezza sul lavoro di Vega Engineering, una società nata nel 2009 e impegnata nella raccolta e elaborazione di dati legati a infortuni sul lavori ottenuti da varie fonti tra cui la stessa Inail. “Non appena l’economia ha ripreso, anche il numero degli infortuni mortali è tornato a crescere”.

“Solo nel mese di gennaio di quest’anno”, spiega Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil sicurezza sul lavoro, “si sono registrate 46 denunce di decesso (di cui 13 in itinere, quasi il doppio rispetto a gennaio 2021) e 57.583 denunce di infortunio tra le lavoratrici e i lavoratori; un dato, quest’ultimo, che rappresenta un 47% in più rispetto alle denunce registrate nello stesso mese dell’anno scorso e che è dovuto, in larga misura, all’alto numero dei contagi da Covid-19 registrato nello stesso mese (16mila registrati dall’Inail)”.

Secondo i dati dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nel 2021 sono state 1.221 le persone morte mentre erano impegnate nell’esercizio della loro professione. Più di tre ogni giorno. L’analisi territoriale evidenzia come si sia verificato un aumento dei decessi nelle regioni a nord-est dell’Italia, è il caso del l Veneto (+19), al centro, soprattutto in  Umbria e Lazio, e al sud con  Puglia e Campania.

Si registra invece una diminuzione significativa di morti sul lavoro soprattutto in Lombardia (-92) e nelle isole. 

(fonte Inail, dati aggiornati al 2021)

Le cause di queste differenze – spiega Maritan – possono essere molte, inclusa la distribuzione dei settori delle attività produttive presenti nelle varie regioni: è certamente meno frequente infortunarsi nel settore dei servizi, rispetto alle costruzioni, all’agricoltura e ai trasporti”. A conquistare il triste primato di settore lavorativo in cui è più frequente morire è infatti l’edilizia. “Il confronto tra il 2° trimestre del 2021 rispetto al 2020 ha visto una crescita del 48,6%” continua il direttore di Vega Engineering. 

E proprio sulle costruzioni la segretaria Uil Veronese fa notare come l’introduzione dell’incentivo del Superbonus nel settore edile abbia intensificato il fenomeno della nascita delle aziende fittizie per nulla curanti di garantire condizioni di sicurezza . “Solo nel mese di gennaio 2022 si sono registrate 1.320 denunce di infortunio nell’edilizia”. I dati tuttavia potrebbero non riflettere la realtà. Questo perché si tratta di statistiche che non prendono in considerazione i casi riguardanti lavoratori non assicurati con Inail, perché in nero o perché per legge non è previsto, per alcune categorie, l’obbligo di assicurazione. “Sono per forza numeri sottostimati”, chiarisce Maritan. 

L’analisi dei dati fatta dall’Osservatorio Vega Engineering aggiunge poi un’altra lettura inevitabile della situazione del nostro Paese preda della pandemia da più di due anni. Sono 811 infatti le persone decedute avendo contratto il Covid-19 in ambito lavorativo. Si tratta del 25% del totale dei decessi denunciati da gennaio 2020 con una incidenza dello 0,6% rispetto al complesso delle morti per coronavirus a livello nazionale. Nel 2021 i decessi sono diminuiti del 57,2% rispetto al 2020 ma il numero delle persone morte essendosi contagiate al lavoro resta alto: 243.

Ma se il fenomeno delle morti sul lavoro non è nuovo perché i lavoratori continuano a morire? “Le ragioni sono molteplici – spiega Filippo Ribisi, vicepresidente di Confartigianato – spesso sono gli stessi lavoratori a essere troppo sicuri di quello che fanno perché abituati a comportarsi in un certo modo, da sempre. E in quei casi il problema diventa serio perché esula da quanto fatto da un datore di lavoro in termini di misure e dispositivi messi in campo per la sicurezza sul lavoro”. 

Esiste quindi una sottovalutazione dell’importanza dell’uso dei dispositivi di protezione dovuta a una scarsa formazione di tutte le figure aziendali rispetto ai rischi che un dipendente può correre durante lo svolgimento del lavoro e alla poca sensibilizzazione sull’importanza della sicurezza. Ma vi è anche la questione dell’eccesso del carico di lavoro, causa di stanchezza e frustrazione che può indurre il lavoratore all’errore e nei casi più gravi alla morte. Ma soprattutto la piaga ancora ben radicata in Italia del lavoro in nero per nulla interessato a garantire la tutela della salute dei lavoratori. 

“Gli ultimi dati Istat sull’economia sommersa risalgono al 2019”, fa notare Ivana Veronese, “e segnalano che i lavoratori irregolari erano 3,5 milioni circa. Una platea vastissima che immagino non farà che aumentare”. La segretaria della Uil evidenzia anche come tra gli obiettivi che l’Italia deve prefiggersi ci sia la “definizione della Strategia Nazionale di Prevenzione e Protezione che, allineandosi al modello comunitario, potrebbe portare a definire in maniera chiara gli interventi e le misure di tutela da porre in essere”.

Nonostante le diverse campagne di sensibilizzazione sul tema come quella del sindacato Uil “Zero morti sul lavoro” avviata nell’aprile dello scorso anno in occasione della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, le denunce di infortuni continuano ad accumularsi. Non sono bastate neanche le novità introdotte nel Decreto Fiscale in materia di vigilanza dello scorso dicembre. Il provvedimento ha stabilito un rafforzamento delle risorse economiche e dei controlli da parte di Asl e Ispettorato nazionale del lavoro. Inoltre è stata resa obbligatoria la formazione e il controllo per i datori di lavoro rispetto alle attività che gestiscono. 

Ma, dati alla mano, tutto questo sembra non bastare, perché le persone che continuano a perdere la vita sul posto di lavoro sono ancora tante. E allora gli interrogativi inevitabilmente si rincorrono così come le promesse e gli impegni. Solo una cosa resta certa: la morte non ha colore e non c’è nulla di bianco in una vita spezzata.

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