epa07458602 People carry the bodies (in truck) of the civilians who they claim have been killed by airstrikes in Kunduz, Afghanistan, 23 March 2019. At least 13 civilians including women and children were killed in the incident. Civilian casualties in airstrikes by NATO's combat mission in Afghanistan or by the Afghan forces have sparked strong criticism among the people of a country ravaged by war since 2001. EPA/STRINGER

"Mai vista un’Italia cosìSempre più razzismonegli ultimi sette mesi"

Dawood Yousefi rifugiato da 17 anni era scampato alla morte in Afghanistan

Dawood Yousefi ha 34 anni, è afghano e vive in Italia come rifugiato da 17 anni. È scappato dal proprio Paese, lasciando la famiglia e gli amici. Ora lavora in una scuola elementare della Capitale, con alunni disabili. Si occupa di integrazione e volontariato.

Perché ha lasciato il suo Paese?

“Sono andato via dall’Afghanistan quando avevo 16 anni e affrontato un viaggio lungo undici mesi. Ho attraversato Iran, Turchia e Grecia: poi sono sbarcato in Italia. A piedi, dentro un camion, sotto al camion, in gommone”.

Che succedeva in quegli anni in Afghanistan?

“Avevo deciso di partire quando avevo 14 anni. Lavoravo, studiavo e davo una mano alla Croce Rossa Internazionale: quando c’erano attacchi e attentati andavamo a soccorrere le vittime. Dopo che sono stato minacciato e hanno ucciso alcuni amici, ho deciso di andarmene via per non uccidere e non essere ucciso. Perciò ho abbandonato tutto e sono partito con altri miei quattro compagni di scuola”.

E come ha fatto?

“Dalla mia città a Kabul; da Kabul in Iran, a piedi. Poi dall’Iran siamo entrati in Turchia, ma siamo rimasti bloccati due mesi sulle montagne perché c’erano i soldati che sparavano. Lì si vedevano scheletri di persone e animali morti da tantissimo tempo. Quindi siamo arrivati a Van, in Turchia, e da lì ci siamo nascosti dentro un camion. Dopo altri due giorni a Istanbul, dove abbiamo comprato un gommone per raggiungere Smirne. Il viaggio verso l’isola di Lero doveva durare due ore, ma noi purtroppo ne abbiamo impiegate più di cinquanta, senza mangiare né bere, perché il mare era agitato. Eravamo in cinque, ma siamo rimasti in quattro, perché uno non ce l’ha fatta: è caduto ed è morto”.

Alla fine ce l’avete fatta?

“Siamo stati salvati dalla guardia costiera greca, dopo che io ho lanciato un Sos: ci hanno accompagnati sull’isola di Lero. Lì ci hanno dato il foglio di via. Quindi sono andato ad Atene e ci ho vissuto cinque mesi. Poi ho raggiunto il porto di Patrasso: dopo un mese sono riuscito a nascondermi sotto la pancia di un camion, sull’asse, vicino alle ruote. L’autista non sapeva che ero lì: il camion, dopo aver superato i controlli, è entrato in una nave. Sono sbarcato dopo 35 ore al porto di Bari. Arrivati in Italia, ho aspettato per un’ora che il camion si allontanasse perché non volevo rischiare di essere rimpatriato nuovamente in Grecia. Mentre era sull’autostrada ho iniziato a battere forte con una pietra che avevo preso al porto di Patrasso in Grecia, per far sentire all’autista che ero lì sotto. Si è fermato e sono uscito fuori. Quindi ho cercato la stazione e un treno per arrivare a Roma”.

Dawood Yousefi

Poi?

“I primi tre mesi ho vissuto per strada perché ero stanco e non riuscivo a decidere se rimanere qui o andare in altri paesi. Ho compiuto 18 anni per strada e subito ho presentato la mia domanda di asilo all’ufficio di migrazione della Questura di Roma: mi hanno mandato a Foggia, a Borgo Mezzanone. Lì sono riuscito a ottenere il permesso in un mese e sono ritornato di nuovo a Roma”.

Come le è sembrata l’Italia?

“Finché uno è fuori pensa e immagina che è un altro mondo. Ma quando uno arriva, si rende contro che non era così. Totalmente diverso”.

Si aspettava di meglio?

“Mi aspettavo non una vita perfetta, ma una minima accoglienza, come ad esempio l’inserimento nelle strutture. È stato difficile, ma alla fine ce l’ho fatta a compiere il percorso di integrazione. Per fortuna, essendo falegname, i primi tempi sono riuscito subito a trovare un lavoro”.

Gli Italiani sono razzisti?

“Non ho mai visto un’Italia così razzista come negli ultimi sette mesi. Ora purtroppo è diventato una cosa normale”.

Negli anni è peggiorata la situazione?

“Sì. Soprattutto in questi ultimi mesi, da quando è arrivato il nuovo governo: i politici trasmettono odio e razzismo ai cittadini. Anche i mass media hanno una grande responsabilità. Accogliere le persone è un dovere fondamentale dell’Italia, dell’Europa e del mondo”.

Lei è stato vittima di episodi di razzismo?

“Fisicamente no, ma verbalmente sì”.

Tornerà in Afghanistan?

“Sì, ma non per viverci. Per riabbracciare la mia famiglia che non vedo da 17 anni”.

Giorgio Saracino

Giorgio Saracino, classe 1994, laureato in Lettere. Giornalista pubblicista, ha collaborato con varie testate. Ha frequentato la scuola di Giornalismo della Fondazione Basso di Roma. Quattro stage in redazione: Sky Sport 24, Radio Vaticana, Left e Report (Rai Tre). Stagista professionista.