Omicidio di Giancarlo SianiIl giornalista Roberto Paolo"Ancora nessuna verità"

"Chi forse avrebbe potuto saperla o è morto oppure non vuole parlare"

Roberto Paolo è un giornalista, vicedirettore del quotidiano napoletano Roma. Nel 2014 ha scritto un libro inchiesta intitolato Il caso non è chiuso: la verità sull’omicidio Siani. Nell’inchiesta ha documentato la tesi secondo cui i mandanti della morte del giovane giornalista non siano solo quelli che sono stati condannati, e che gli esecutori materiali del delitto siano altri. Attraverso la sua inchiesta, Roberto Paolo ha spinto le autorità a riaprire le indagini sulla morte del giovane giornalista.

Roberto Paolo, con il suo libro ha ipotizzato che i mandanti dell’omicidio di Siani non siano solo quelli condannati. Mi parli di questa teoria

“Secondo me non tutti i mandanti dell’omicidio sono in carcere. Oltre al clan Nuvoletta di Marano, penso che a pianificare l’omicidio siano stati almeno altri due clan: i Gionta di Torre Annunziata, il cui boss fu processato e poi assolto in Cassazione, e il clan Giuliano di Forcella. Per quanto riguarda gli esecutori materiali del delitto invece, penso che le due persone attualmente in carcere non siano quelle che hanno sparato a Siani. Ciò non toglie però che i due attualmente detenuti abbiano potuto partecipare all’organizzazione dell’omicidio. Quindi, secondo me, ci sono altri soggetti, ora liberi, che non sono mai stati processati per questo caso”.

Quali sono i motivi che la portano ad affermare questa tesi?

“Ho visionato le carte processuali e non c’era nessuna prova certa su Armando Del Core e Ciro Cappuccio. I testimoni oculari che hanno visto chi ha sparato a Siani hanno detto che i due condannati come esecutori materiali non corrispondevano alle persone da loro viste.
Un’altra cosa che poi nessuno dice è che nel processo di primo grado c’erano altre persone accusate dell’omicidio, non i due poi condannati.
Ad ogni modo i dossier e le carte giudiziarie che ho raccolto per la stesura della mia inchiesta sono consultabili. Chiunque può verificare quello che sostengo”.

Parliamo del movente dell’omicidio

“Ritengo che il movente non sia quello del tradimento dei Nuvoletta al clan Gionta. I Nuvoletta temevano quello che Siani avrebbe potuto scrivere e quindi lo hanno fermato prima che lo facesse. Un informatore disse ai carabinieri che l’omicidio di Siani era maturato nel clan Giuliano per via del business delle cooperative. Però nel processo questo documento contenente le parole dell’informatore non è stato ritenuto prova valida. Difficile dire con certezza cosa sia successo.
Nessuno sa la verità e chi forse avrebbe potuto saperla o è morto o non parla”.

Diana Sarti

Nata a Roma nel 1995, si è laureata in scienze politiche alla Luiss. Scrive soprattutto per il web, con particolare attenzione agli esteri. Appassionata di teatro e Giochi olimpici, ha scritto spesso di nuoto e atletica leggera. Viaggiatrice da sempre e poliglotta, parla cinque lingue.