"Mio fratello Giancarlo simbolo per tanti giovani"intervista a Paolo Siani

"La politica deve fare di più per tutelare i giornalisti"

Paolo Siani è il fratello maggiore di Giancarlo, il giovane giornalista ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985. In occasione del giorno in cui Giancarlo avrebbe compiuto 60 anni, Paolo lo ha voluto ricordare così.

Oggi e lunedì ricorreranno due anniversari importanti: i 60 anni dalla nascita e i 34 anni dalla morte di Giancarlo Siani. Ci parli dell’associazione dedicata a suo fratello.

“Nel 1986, un anno dopo la sua morte, è nata l’associazione Giancarlo Siani che io, Geppino Fiorenza e altri amici abbiamo voluto fondare, convinti di dover creare un ente per non dimenticare l’impegno di mio fratello. Oggi, a distanza di tutti questi anni, possiamo dire che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto: Giancarlo è rimasto un simbolo per tanti giovani, anche se non lo hanno mai conosciuto. Oggi, dopo tanti anni e tante riflessioni, abbiamo deciso di trasformare l’associazione in fondazione”.

A distanza di decenni il mestiere del giornalista è rimasto immutato nelle sue criticità. Ci sono tantissime similitudini tra il percorso professionale Giancarlo e quello di un giovane giornalista di oggi. Il lavoro precario, mal pagato, spesso senza tutele, a volte esercitato da abusivi sperando in un contratto che non sempre poi arriva. Lei cosa ne pensa?

“Le preoccupazioni e le angosce dei ragazzi di oggi sono le stesse che aveva Giancarlo. Lui sperava che venissero create delle scuole di giornalismo per formare i giovani e aiutarli nel trovare un lavoro stabile. Negli anni ’80 il giornalista si faceva solo frequentando un giornale, lavorando spesso senza essere retribuito e senza tutele. La situazione è migliorata, anche se l’accesso alla professione è ancora molto difficile e ancora non c’è soluzione. È molto più frequente che un giornalista precario faccia una inchiesta che non un giornalista strutturato, questo non va bene”.

 

Lei nel 2018 è stato eletto alla Camera dei Deputati con il Partito Democratico. In Italia, attualmente, ci sono 22 giornalisti che vivono sotto scorta. Secondo lei la politica non dovrebbe fare di più per i giornalisti? Condannare con più forza quando i giornalisti vengono intimiditi o minacciati.

“Assolutamente sì. Io sono stato il primo a protestare quando l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, voleva togliere la scorta a Roberto Saviano. Eliminare la scorta significa dire che la mafia non esiste più. La mafia, però, esiste ancora quindi la scorta serve. Bisogna fare di più per tutelare i giornalisti minacciati, bisogna approvare la legge contro le querele intimidatorie. Spero che con questo governo il provvedimento, depositato l’anno scorso, possa almeno essere discusso in Aula”.

Cosa pensa che possa emergere dalle nuove indagini avviate dalla Procura di Napoli nel 2014?

“Dubito che si possano fare nuove indagini dopo tanto tempo e che possano portare alla luce nuovi elementi. Tanta solerzia andava forse esercitata prima. Dopo tanti anni mi sembra un po’ utopico arrivare ad una nuova verità”.

Diana Sarti

Nata a Roma nel 1995, si è laureata in scienze politiche alla Luiss. Scrive soprattutto per il web, con particolare attenzione agli esteri. Appassionata di teatro e Giochi olimpici, ha scritto spesso di nuoto e atletica leggera. Viaggiatrice da sempre e poliglotta, parla cinque lingue.