"Tamponi? Solo adessoprima non potevamo farli"La testimonianza di Cauda

Il primario del Gemelli racconta come l'ospedale sta combattendo il virus

Anche l’ospedale Gemelli di Roma è impegnato nella lotta contro il Coronavirus. Medici e infermieri, ogni giorno, sono al lavoro per cercare di arginare la pandemia. Tra loro c’è anche il primario Roberto Cauda, direttore del dipartimento di Malattie Infettive che, in un’intervista rilasciata a LumsaNews, racconta come sta affrontando l’emergenza.

Da quando avete iniziato ad analizzare i tamponi?
“Inizialmente noi i campioni non li abbiamo processati perché c’era una scelta politica (anche giusta) di portarli tutti all’ospedale Spallanzani di Roma. Almeno fino a quando questi erano un numero limitato. Ora la nostra struttura lavora come punto di riferimento per alcune Asl. Quella dell’analisi dei tamponi non è una tecnica particolarmente complessa, soprattutto per chi ha una microbiologia di alto profilo come noi”.

Quanti ne riuscite a fare al giorno?
“Un centinaio circa”.

Dovremmo seguire il modello della Sud Corea?
“In Sud Corea li hanno fatti a tutti. Ci vogliono delle ore per avere i risultati. Ma rimane una scelta politica. Lo scienziato Silvio Garantini dice che non è favorevole ad un’implementazione del numero di tamponi, anche perché sarebbe un impiego di risorse e di uomini molto oneroso. In Veneto, a Vo’ Euganeo, sono stati fatti in modo capillare, mentre nelle altre province italiane no. bisogna poi tener presente che i soggetti asintomatici, pur con delle eccezioni, dovrebbero essere poco diffusori del virus”.

La ricerca di chi ha sviluppato anticorpi al Coronavirus potrà essere utile?
“Sarà utile al termine dell’epidemia per capire quanto ha circolato il virus. Penso che, una volta terminata la diffusione, si andrà a ricercare nel sangue delle persone (ad esempio dei donatori delle varie città italiane) la percentuale di anticorpi al coronavirus. Così si potrà mappare, in base alla positività al Covid -19, la diffusione”.

Non è importante capirlo ora?
“Le curve sono in crescita e la popolazione è per lo più vergine. I contagiati sono ancora una parte piccola della popolazione. Molto significativa per l’epidemia, ma non possiamo ipotizzare che il numero degli asintomatici sia enorme. Sicuramente ci saranno dei casi sfuggiti, e anche dei casi paucisintomatici (ndr, con sintomi lievi) che non hanno richiesto l’intervento del medico”.

Quali sono le cose più importanti da fare per limitare la diffusione?
“Oltre al ricorso ai tamponi, ancora più importante è il restare a casa. Avere responsabilità. Seppur i tamponi siano importanti per capire se uno è positivo, se gli asintomatici rimangono a casa il rischio del contagio diminuisce (anche se non è azzerato). È una sorta di quarantena italiana, compiuta anche in Cina, che ha portato risultati importanti”.

Pericolo per i sanitari?
“C’è. Ne sono già stati contagiati 1500. Dobbiamo fare in modo che i dispositivi di protezioni individuale come guanti e camici non vengano mai a mancare”.

Siete attrezzati?
“Al momento sì, ma dobbiamo fare i conti con numeri crescenti”.

Alessandro Rosi

Il basket lo appassiona mentre la scrittura lo emoziona. Nato a Roma nel 1989, intraprende la carriera giuridica fino ad ottenere l’abilitazione alla professione forense, ma nel frattempo viene stregato dal mondo del giornalismo. Come dice John Lennon: “La vita è ciò che ti succede mentre stai facendo altri progetti”.