A Panama quella stretta di mano che segna la svolta tra Stati Uniti e Cuba

Incontro storico tra Obama e Raùl Castro al vertice delle Americhe a Panama. Il presidente degli Stati Uniti: «Ora chiederò di togliere l'embargo».

obama

Il gelo che ha caratterizzato oltre cinquant’anni di guerra fredda tra Cuba e Stati Uniti d’America, si è estinto, in un pomeriggio di aprile, al tepore di una cordiale stretta di mano tra il presidente americano Barack Obama e il leader cubano Raùl Castro. La svolta storica consumatasi venerdì scorso in una saletta del centro congressi di Panama, a margine del settimo vertice delle Americhe, rappresenta il culmine di un capitolo che verrà consegnato agli annali come la fine del processo di “disgelo” già annunciato lo scorso dicembre al grido di “todos somos americanos”.

Dopo l’incontro a porte chiuse durato circa un’ora, definito dallo stesso Obama «schietto e fruttuoso» il presidente americano ha ribadito che «Cuba non rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti». «Noi vogliamo ristabilire nuove relazioni diplomatiche con Cuba – ha detto Obama -. La toglieremo dalla lista dei Paesi che sostengono il terrorismo; mi appellerò al Congresso per eliminare le sanzioni e il blocco economico».

L’84enne Castro, apprezzando l’onestà e le umili origini del capo della Casa Bianca, nel corso del suo discorso che ha sforato di oltre un’ora il tempo assegnato, ha passato in rassegna le gesta degli eroi della storia cubana, da Jose Martì, fondatore della coscienza indipendentista, al Comandante Che Guevara, per poi commemorare il fratello Fidel, mostrando non poca intesa con Obama, appartenente a una generazione di trent’anni più giovane.

«Ci sono molte cose sbagliate nel passato degli Stati Uniti, per le quali dovremmo chiedere scusa – ha dichiarato il presidente americano -. Ma la forza del mio Paese sta nella sua capacità di correggersi, di cambiare, di guardare al futuro. La guerra fredda è finita da tempo. Non sono molto interessato a rimanere prigioniero di fatti che risalgono a quando non ero neanche nato».

La seconda stretta di mano tra l’anziano Lìder maximo cubano e Obama – che ha anche annunciato la prossima apertura di un’ambasciata americana a L’Avana – è giunta durante il bilaterale, momento in cui l’erede di Kennedy ha detto che «ora possiamo andare avanti anche se con Cuba non siamo d’accordo su molte cose». Una battuta che ha trovato il consenso in Raùl, consapevole del fatto che si dovrà essere «pazienti, molto pazienti».

«Obama – ha detto ancora Castro, redimendo il leader Usa dagli errori commessi dai suoi predecessori – non è responsabile per i dieci presidenti che lo hanno preceduto».

Nel corso di una conferenza stampa il ministro degli Esteri di Cuba, Bruno Rodríguez, ha ribadito come l’incontro tra i due leader abbia offerto ai due Paesi la possibilità di avere una migliore percezione degli interessi comuni e delle rispettive differenze; mentre Benjamin J. Rhodes, vice consigliere di Obama per la sicurezza nazionale per le comunicazioni strategiche, ha detto che l’apertura delle relazioni con Cuba potrà inaugurare l’inizio di relazioni più costruttive con gli altri Paesi del mondo.

Tuttavia il riavvicinamento tra Washington e L’Avana non sembra piacere ai repubblicani Usa che storcono un po’ il naso all’indomani del vertice di Panama. «Obama incontra Castro ma rifiuta di incontrare Netanyahu. Perché legittimare il dittatore crudele di un regime repressivo?» ha twittato Jeb Bush, ex-governatore della Florida e probabile candidato alla Casa Bianca. Eppure, in barba al dissenso dei candidati repubblicani, circa due terzi degli americani sembrano approvare il riavvicinamento a Cuba come mostrava un sondaggio Washington Post/ABC News dello scorso dicembre.

Intanto turisti canadesi, italiani, tedeschi si riversano sull’isola che fu la fucina del sogno del Che, per rivolgere un ultimo saluto alla terra della rivoluzione e del proibizionismo, a lungo stretta nell’embargo e nel pugno del castrismo, dalla quale partivano soltanto le celebri immagini di Fidel Castro e di Guevara con il Cohiba tra le labbra. Prima che l’isola diventi una nuova McDonald’s Republic, come scrive Massimo Gaggi sul Corriere della Sera, quasi irritati dall’imminente normalizzazione, Usa-Cuba, i turisti accorrono a L’Avana per anticipare l’arrivo degli Yanqui.

Le compagnie Delta, United e American Airlines puntano ad aprire rotte commerciali con l’isola, appena le sanzioni verranno sollevate. American Express e MasterCard lavorano in vista della cancellazione delle restrizioni bancarie, mentre Airbnb ha già cominciato a offrire sul proprio sito 1000 nuovi appartamenti a Cuba. Tuttavia nell’isola ci sono da sviluppare le strutture turistiche e soprattutto una rete Internet ad alta velocità.

Cuba è ancora la terra nella quale, tra le 12 categorie autorizzate non è contemplata quella del viaggio per motivi turistici. Dalla terra del Che e della rivoluzione l’odore dell’Havana Club e il fumo dei sigari cubani non possono ancora varcare quel lembo di mare di 180 chilometri, che, seppure sottile, separa l’isola dall’America. Uno gelido lembo di silenzio che inizia solo adesso ad essere ammansito da due mani che si incontrano dopo anni di distanze.

Samantha De Martin

Samantha De Martin

È nata a Reggio Calabria. Dopo aver conseguito la maturità classica si è laureata in Scienze Umanistiche. Specializzata in Linguistica, ha maturato la passione per il giornalismo grazie ad uno stage nella redazione della rivista “Progress” scrivendo di cultura e viaggi. Ha collaborato con il quotidiano “Cinque giorni” occupandosi della cronaca di Roma. Nel 2008 la passione per la scrittura l’ha condotta alla pubblicazione del romanzo “Pantarei”, vincitore dei premi “Anassilaos” e “Calarco”.