Quell’affido condiviso che divide le famiglie e la politica

Da quando lo scorso settembre il disegno di legge 735 è stato presentato, ne è stato richiesto immediatamente a gran voce il ritiro. Il disegno di legge, primo firmatario il senatore Simone Pillon, vuole riscrivere le regole dell’affidamento e, nell’ottica di chi l’ha ideato, garantire ai figli minori dopo la separazione dei genitori di mantenere rapporti equivalenti con entrambi. Equilibrio fra le due figure genitoriali e tempi paritari, mantenimento in forma diretta e contrasto della presunta alienazione genitoriale i capisaldi del ddl. Il disegno di legge prevede, in caso di separazioni e divorzi, l’intervento obbligatorio del mediatore familiare e predispone l’istituzione del rispettivo albo professionale. La mediazione potrà durare massimo sei mesi, il primo incontro con il professionista sarà gratuito, i successivi a pagamento.

«Uno dei problemi di questo disegno di legge è proprio l’obbligatorietà di questo intervento che snatura la mediazione in quanto tale» commenta l’avvocato Concetta Gentili, coordinatrice del gruppo tecnico avvocate di D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza). Anche il pediatra Vittorio Vezzetti, che ha collaborato alla stesura del testo, è categorico: «Nel disegno di legge l’obbligatorietà, a un’attenta lettura, si riduce a un incontro di carattere informativo e gratuito presso il mediatore».

Lumsanews ha chiesto al senatore Simone Pillon se aumenteranno i costi delle separazioni e dei divorzi. «Assolutamente no. Anzi, costeranno molto meno. L’esborso previsto è di circa 600 euro per l’intero percorso. Nell’80 per cento dei casi – spiega Pillon – la mediazione si conclude con un accordo che permette di evitare la separazione giudiziale, risparmiando fino a 10mila euro».

La questione però, secondo Concetta Gentili, si trasferisce su un piano ideologico e culturale tant’è che la portavoce dell’associazione D.i.Re si chiede se in Italia, con un impianto legislativo di questo tipo, sarà ancora possibile divorziare o separarsi: «È un disegno di legge che tende a mantenere unite le strutture familiari ma non perché sono unite dagli affetti o dall’amore, ma dall’impossibilità di ottenere dalle istituzioni un giusto provvedimento».

Il risultato della mediazione sarà la redazione di un “piano genitoriale”, un documento che fotografi meticolosamente le abitudini, gli interessi e le frequentazioni del minore, oltre a definire in che misura e con quali modalità ciascuno dei genitori provvederà al sussidio economico diretto ai figli (superando la logica del vecchio assegno di mantenimento). Ciascun genitore contribuirà economicamente in misura proporzionale al rispettivo reddito. Su questo punto Gentili osserva: «Tutto l’impianto del ddl legittima il genitore economicamente più forte».

Non è d’accordo Pillon: «Con la riforma i genitori torneranno ad essere protagonisti delle decisioni che riguardano la vita dei loro figli. Certo, per farlo dovranno dimostrare di saper andare d’accordo nell’interesse della prole». Il ddl si ispira al principio della “bigenitorialità perfetta” e insiste sul fatto che il minore ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo tanto con il padre quanto con la madre. «È un’ipotesi irrealizzabile anche nelle coppie non separate, tale principio non esiste. È un concetto di scuola non facilmente realizzabile nel concreto» controbatte l’avvocata Gentili. Salvo diversi accordi fra i due genitori, i figli avranno inoltre un doppio domicilio e dovranno trascorrere non meno di dodici giorni al mese con entrambi i genitori.

Il senatore Pillon ha spiegato più volte che uno dei principali obiettivi della sua legge sarà ridurre progressivamente la conflittualità fra i genitori. Il giudice dovrà infatti avere un ruolo residuale e dovrà intervenire solo nel caso di mancato accordo e trova il favore di Vezzetti, fondatore della Onlus “Figli per sempre”, che commenta: «In tutti i Paesi del mondo in cui è stato introdotto l’affidamento materialmente condiviso la conflittualità è diminuita drasticamente».

Centrale nel dibattito sul disegno di legge anche la questione dell’alienazione parentale. Afferma Pillon: «Si tratta di una circostanza molto grave, che si genera quando uno dei genitori spinge il figlio a rifiutare l’altro genitore. Le conseguenze per i minori sono spesso gravissime, quando non drammatiche. La ricerca offre possibili soluzioni quali la terapia o il sostegno psicologico. In casi estremi è anche possibile un breve collocamento del minore in apposite strutture specializzate con o senza il genitore rifiutato».

Secondo i movimenti femministi e le associazioni contro la violenza sulle donne però questo disegno di legge non prende in esame, in modo soddisfacente, i contesti di violenza (menzionati all’articolo 17 e 18). «Se allontano mio figlio da un contesto violento posso perdere la responsabilità genitoriale» afferma la Gentili. Secondo molte associazioni e centri anti-violenza, la previsione della sospensione e la decadenza della responsabilità genitoriale in caso di accuse non accertate giudizialmente rappresenta una minaccia per le donne fondata sul pregiudizio che queste denuncino maltrattamenti, o altre forme di violenza, per trarne vantaggio e ottenere l’affidamento dei minori.

Mancano otto audizioni prima che si possa capire se disegno potrà proseguire il suo percorso. Anche l’associazionismo cattolico ha manifestato dubbi nei confronti della riforma. Massimo Gandolfini, presidente dell’associazione Family Day, ha espresso nei mesi scorsi la sua contrarietà sul provvedimento in esame: «Va congelato e la questione rivalutata». In un comunicato diffuso dall’associazione “Difendiamo i nostri figli” scrive: «L’attuale testo del ddl è caratterizzato da luci e ombre». L’avvocato Gentili ipotizza quale potrebbe essere il futuro del disegno: «Questo ddl andrebbe eliminato anche se questo non avverrà, poiché fa parte del contratto di governo» e aggiunge: «Tutto l’impianto è sbagliato e non perché insiste sui padri, o perché insiste sull’affido condiviso, non va bene perché è una violazione dei diritti umani».