Rousseau, i conflitti e gli interessi dei Casaleggio

“La sovranità non può essere rappresentata per la medesima ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale, e la volontà non si rappresenta: o è essa stessa o è diversa, non c’è una via di mezzo”, scriveva il filosofo Jean-Jacques Rousseau nel 1762. A lui si ispira l’associazione a cui il MoVimento 5 Stelle si affida per applicare l’idea della democrazia diretta. Il nome non è scelto a caso. Rousseau appartiene a Davide Federico Dante Casaleggio, figlio del guru Gianroberto. Come sua è anche la Casaleggio Associati srl, la società di comunicazione che gestisce il Blog delle Stelle, la testata ufficiale del partito.

I rimborsi e i soldi per Rousseau

Tutti i mesi, i “portavoce” (che altro non sono se non i parlamentari pentastellati) versano nelle casse dell’Associazione Rousseau 300 euro, che vengono utilizzati per migliorare la piattaforma. Assieme a questi soldi, ogni eletto – parlamentare italiano, europeo e consigliere regionale – deve rendere almeno 2.000 euro al mese ai cittadini. Ancora una volta, il tutto avviene attraverso il sito creato ad hoc da Davide Casaleggio. “Nella scorsa legislatura noi davamo la metà dello stipendio al conto statale della Banca d’Italia per il microcredito: un’istituzione diretta. In questa legislatura, dopo qualche mese dal suo insediamento, i vertici hanno deciso di fare un conto intermedio, intestato al Comitato per le restituzioni, i cui membri erano i due capigruppo e il capo politico Luigi Di Maio, quindi un conto dal quale sarebbero stati inviati i soldi ai vari enti, sia pubblici che privati”, racconta a Lumsanews Elena Fattori, senatrice che nel novembre è passata dal MoVimento 5 Stelle al Gruppo Misto.

Non c’è stata nessuna consultazione della base, nessuna riunione tra i parlamentari per arrivare a questa decisione: “Accettare queste condizioni era il solo modo per potersi candidare con il MoVimento”, spiega ancora l’ex senatrice pentastellata. E a fine giugno 2018, il Comitato per le rendicontazioni ha messo nero su bianco quanto previsto nel Codice etico.

Per tenere Rousseau aggiornato e funzionante, i 331 parlamentari eletti a marzo 2018 avrebbero dovuto versare quasi sei milioni di euro; per i rimborsi si arriva, invece, a circa 40 milioni. La realtà dei fatti, però, è molto diversa: i parlamentari sono scesi a 305, tra fuoriusciti per motivazioni personali e parlamentari che sono stati messi alla porta perché non in regola con i pagamenti. A dicembre 2019, la differenza, in termini monetari, tra i soldi effettivamente versati dai portavoce e quelli che ci si sarebbe aspettati è tanta: per Rousseau mancano alla Camera 124.200 euro, al Senato 66.050 e per i fuoriusciti 95.500 euro. Per i rimborsi i numeri sono ancora più importanti: 828.00 euro mancano dai deputati, 402.000 dai senatori e 429.000 da chi non fa più parte del gruppo dei pentastellati, come dimostra il grafico al centro pagina.

Ai fondi erogati dai fuoriusciti, si dovrebbero aggiungere i 100mila euro di penale che dovrebbe versare ogni singolo portavoce dopo esser stato espulso, dopo aver abbandonato il gruppo parlamentare o dopo aver deciso di dimettersi dal proprio ruolo. Nonostante l’ultimo comma dell’articolo 5 del Codice etico, però, i soldi non vengono richiesti, anzi: i deputati e i senatori vengono bloccati dal sistema della piattaforma e non possono più versare i loro soldi, né tantomeno votare.

La candidatura a punti

Da quando è arrivata Enrica Sabatini, la cosiddetta Lady Rousseau, la piattaforma ha implementato il suo potere. Ora è possibile per gli utenti, infatti, ottenere dei punti ogni qualvolta si fa qualcosa per l’Associazione ai fini di una candidatura tra le fila del MoVimento 5 Stelle. Vengono assegnati punti per ogni voto espresso, per ogni evento a cui si è partecipato, per ogni corso di formazione seguito, per ogni proposta presentata nel corso della legislatura e inserita sul sito. I punti sono chiamati badge e servono soprattutto agli utenti della piattaforma per scegliere con coscienza la migliore alternativa possibile tra quelle proposte nelle varie consultazioni. “La questione dei badge non si basa solamente sulla presenza fisica di una persona a un evento o sull’attività che viene portata avanti online, la visibilità che ti viene data attraverso i badge deriva anche dall’intensità dell’attività politica. Tutte le cose che io faccio vengono inserite nella piattaforma: disegni di legge, atti. Tra i vari moduli, poi, ci sono quelli dedicati alla formazione. Questo permette ai cittadini di conoscere meglio chi si andrà a votare”, chiarisce il consigliere regionale pentastellato della Sardegna, Alessandro Solinas.

Il metodo, però, non è esente da critiche. Un attivista, infatti, potrebbe non avere tempo per partecipare ed essere attivo sulla piattaforma Rousseau, ma potrebbe comunque essere in grado di fare politica, che non si misura con dei punteggi. Per questo motivo, in un retroscena pubblicato dalla ‘Stampa’ e firmato da Ilario Lombardo, molti dei portavoce stanno pensando di presentare un documento, di cui Solinas non è a conoscenza, agli Stati generali per arginare il potere dell’Associazione per il MoVimento.

Il conflitto di interessi di Davide Casaleggio
Il figlio del guru è, quindi, il vero dominus di tutto il sistema che ruota intorno al movimento. Lui possiede l’Associazione a cui è demandato il compito di applicare l’idea della democrazia diretta, lui possiede la società di consulenza che cura la comunicazione, in toto, dei 5 Stelle. Lui, ancora, ha fondato l’Associazione Gianroberto Casaleggio, in memoria del padre defunto, con la quale riesce a organizzare serate benefiche e, quindi, intessere relazioni importanti, forse utili un domani o addirittura oggi.

“Il conflitto di interessi non è un reato, prima di tutto – spiega, ancora, l’ex senatrice Fattori -. È ovviamente possibile conflitto di interessi, perché chi ha un’impresa privata e nello stesso tempo gestisce un partito (Casaleggio è uno dei fondatori del partito, ndr), non è opportuno che concili entrambe le cose: nel momento in cui lui lavora sulla blockchain o su questioni informatiche e il suo gruppo parlamentare ha un ministro che si occupa della digitalizzazione è una situazione poco opportuna. Se il conflitto c’è o non c’è, però, ce lo dirà il tempo”.
Perché il problema è proprio questo: può un soggetto privato, che di fatto non ha nessun ruolo all’interno del Parlamento o qualsiasi altra istituzione, esercitare un’influenza su di esso tramite i suoi “uomini”? La risposta è nì. Lo può fare perché lo fa, ma ancora nessuno ha indagato sulla questione. E sì, il conflitto di interessi non è reato, ma è una delle tante battaglie che hanno portato alla ribalta il MoVimento 5 Stelle.
Sarebbe davvero paradossale se cadessero proprio per questo.