ROMA – “I giornalisti non muoiono: vengono uccisi”. Il numero di giornalisti assassinati, dall’1 dicembre 2024 all’1 dicembre 2025, aumenta a causa delle pratiche criminali dei gruppi militari e della criminalità organizzata, fa sapere il bilancio annuale pubblicato da Reporter senza frontiere. Almeno 53 dei 67 professionisti dei media uccisi nell’ultimo anno sono vittime di guerre o di reti criminali.
Quasi metà dei giornalisti uccisi a Gaza, poi Messico
Dei giornalisti uccisi nel mondo in un anno, la metà è morta nella Striscia di Gaza sotto il fuoco delle forze israeliane. In Ucraina, l’esercito russo continua a prendere di mira i giornalisti stranieri e ucraini. Anche il Sudan, sottolinea il bilancio, si rivela una zona di guerra letale per i professionisti dell’informazione. In Messico i gruppi criminali organizzati sono responsabili dell’aumento degli omicidi di giornalisti registrato quest’anno. Il 2025 è il più mortale degli ultimi tre anni: il Messico è il secondo Paese più pericoloso per i giornalisti con nove morti. Ma i rischi non sono solo all’estero. I giornalisti sono in pericolo anche all’interno dei loro Paesi.
Bruttin: “La critica è legittima ma non deve sfociare nell’odio”
“È perfettamente legittimo criticare i media: la critica dovrebbe fungere da catalizzatore per il cambiamento che garantisce la sopravvivenza della stampa libera, un bene pubblico. Ma non deve mai sfociare nell’odio per i giornalisti, che nasce in gran parte – o deliberatamente alimentato – dalle tattiche delle forze armate e delle organizzazioni criminali”, ha sottolineato il direttore generale di Rsf Thibaut Bruttin. “Ecco dove ci porta l’impunità per questi crimini: il fallimento delle organizzazioni internazionali, che non sono più in grado di garantire il diritto dei giornalisti alla protezione nei conflitti armati, è la conseguenza di un declino globale del coraggio dei governi, che dovrebbero attuare politiche pubbliche protettive”


