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HomeCronaca Sempre più antidepressivi. “Trend in costante crescita. La pandemia non ha aiutato”

Sempre più antidepressivi
“Trend in costante crescita
La pandemia non ha aiutato"

Parla la psichiatra Fiammetta Cosci

"Non demonizziamo le benzodiazepine"

di Michela Pagano27 Ottobre 2021
27 Ottobre 2021

Fiammetta Cosci è medico psichiatra e professore associato in Psicologia Clinica all’Università di Firenze. Ideatrice della Diagnostic clinical Interview for Drug Withdrawal 1 SSRI and SNRI, strumento che permette di formulare le diagnosi di sindrome d’astinenza da sospensione o riduzione di antidepressivi, per Lumsanews ha analizzato il trend in aumento dell’utilizzo di antidepressivi, con particolare attenzione al ruolo della pandemia negli ultimi due anni.

Negli ultimi anni sono aumentate le cure farmacologiche contro ansia e depressione. La pandemia ha inciso in qualche modo?

“L’aumento dell’utilizzo degli psicofarmaci nel trattamento dei disturbi d’ansia e depressivi è documentato a partire dagli anni ’80 nella maggior parte dei paesi occidentali, compresa l’Italia. Le prescrizioni che si sono registrate nel periodo della pandemia sono quindi il frutto di un trend in aumento che ha avuto inizio in quegli anni, più o meno quando i cosiddetti nuovi antidepressivi sono stati immessi sul mercato con l’idea, poi dimostratasi non propriamente verosimile, che fossero farmaci ben tollerati e facili da interrompere per i pazienti. Relativamente al periodo della pandemia, tuttavia, alcuni studi mostrano una riduzione dell’incidenza della diagnosi di disturbi depressivi e ansiosi, con conseguente riduzione della prescrizione di antidepressivi a persone che prima non ne prendevano. Tuttavia, per esempio nel Regno Unito, il costo dovuto alle prescrizioni antidepressive è cresciuto nel 2020 rispetto al 2019. Questi dati fanno pensare che sia aumentato in pandemia il consumo degli psicofarmaci in chi li assumeva già prima della pandemia”. 

Le benzodiazepine sono considerate tra gli psicofarmaci più pericolosi poiché causano dipendenza. Cosa provocano nel paziente? 

“Le benzodiazepine sono state spesso al centro di una campagna denigratoria poiché considerati farmaci pericolosi, passibili di indurre dipendenza. In realtà, si tratta di farmaci il cui utilizzo è molto ampio e la cui efficacia è ampiamente dimostrata. Hanno anche il potenziale di indurre dipendenza che però varia molto da farmaco a farmaco e in base alle caratteristiche del paziente che le assume. La letteratura scientifica suggerisce che non tutte le benzodiazepine sono uguali: alcune hanno una probabilità alta di indurre dipendenza mentre altre hanno una probabilità molto bassa. Inoltre, è documentato che le benzodiazepine sono a rischio di indurre dipendenza soprattutto in chi usa sostanze (come cocaina e psicostimolanti) o in chi ne assume dosi crescenti”. 

Il paziente che inizia un percorso di riduzione o sospensione dei farmaci a cosa va incontro?

“Più famiglie di psicofarmaci possono produrre astinenza al momento della loro sospensione o riduzione, in particolare gli antidepressivi SSRI e SNRI, gli antipsicotici e poi anche le benzodiazepine. Un’astinenza da sospensione di benzodiazepine è solitamente breve e transitoria mentre per antidepressivi o antipsicotici si registrano sempre più spesso casi di astinenza persistente. Si tratta di un problema clinico importante perché i sintomi tendono a perdurare per mesi o anni e spesso non sono riconosciuti. È comunque doveroso precisare che non tutti i pazienti che riducono o sospendono antidepressivi soffrono poi di astinenza. Come suggerisce la letteratura scientifica spesso capita a un paziente su due”. 

Quali sono i sintomi e come combatterli?

“I sintomi d’astinenza da riduzione o sospensione di psicofarmaci possono presentarsi in maniera diversa. Possono esserci sintomi fisici e/o psichici che il paziente non aveva mai avuto prima, per esempio scatti muscolari, diarrea, vertigini o anche insonnia e irritabilità. Un’altra possibile sindrome prevede la ricomparsa, ad una intensità maggiore, di sintomi che il paziente aveva già sperimentato in passato e per i quali aveva iniziato la cura farmacologica stessa, per esempio insonnia o ansia. Una terza tipologia, quella più severa, prevede la comparsa sia di nuovi sintomi che il riaffacciarsi di quelli più antichi con una gravità tale da trasformarsi in un vero e proprio disturbo mentale. Quindi per esempio il paziente trattato con un SSRI per un disturbo di panico, presenta, al momento della cessazione del farmaco, sia una ripresa degli attacchi che una sintomatologia depressiva, che è per lui nuova e sconosciuta”.

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