Ue, un esercito comune per garantire la pace

Prima la rovinosa ritirata dell’occidente dall’Afghanistan ad agosto. Poi, l’invasione della Russia in Ucraina. A Kiev, una capitale europea, tornano i carri armati, le bombe e gli assedi. Un tuffo nel passato, quello delle grandi guerre del Novecento, sconosciuto alle nuove generazioni e a cui l’Unione europea, distante dai tavoli negoziali tra Kiev e Mosca, ha deciso di rispondere ridando impulso alla difesa comune, progetto mai davvero decollato. La Bussola strategica – il documento che intende delineare politica estera e militare europea – verrà approvata entro marzo 2022. L’Ue intende creare un nuovo contingente militare di pronto intervento che dovrà difendere la pace e la prosperità nel vecchio continente.

 Un esercito europeo di 5mila uomini

Vertice dei Capi di Stato e dei Capi di Governo di Versailles

Il piano di Bruxelles – così come emerso dal recente vertice di Versailles – è rendere operativo il prima possibile l’esercito europeo, un contingente di soldati in “prontezza” già nel 2023 e in piena operatività per la fine del 2024. Sarà costituito da 5 mila uomini e avrà il compito di difendere e salvaguardare i confini dell’Unione europea. Ma le critiche non mancano. Come spiega a Lumsanews Gianluca Pastori, docente di Storia delle relazioni internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: “Non dobbiamo aspettarci una vera forza operativa”. Posizione condivisa anche da Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dell’Istituto Affari Internazionali, secondo il quale si tratterà di una semplice “cooperazione e integrazione delle forze armate statali perché la difesa rimane di competenza nazionale”.

Diverso il punto di vista di Susanna Fortunato, professoressa di Diritto dell’Unione europea dell’Università Lumsa di Roma: “Nella Bussola strategica c’è un riferimento alla forza di impatto e quindi a un contingente militare sempre pronto all’intervento rapido, senza passare attraverso le forche caudine amministrative previste per i Battlegroup, i gruppi tattici dell’Ue”, ossia i contingenti di 1.500 militari. La nuova formazione sarà composta da forze marittime, terrestri e si ipotizza anche l’utilizzo di quelle aeree, non incluse invece nei Battlegroup.

La difesa europea complementare e non alternativa alla Nato

La forza militare battente bandiera europea non sostituirà la Nato, a cui aderiscono venti degli Stati membri Ue, ma si coordinerà con l’Alleanza Atlantica. Secondo Marrone è “improprio ed errato parlare di esercito europeo”: le forze terrestri, aeree e cibernetiche messe a disposizione dagli Stati dell’Ue saranno complementari alla Nato. Dello stesso avviso è Pastori: “La forza di primo intervento sarà qualcosa di piccolo e limitato”. Alleanza Atlantica e difesa comune europea quindi “non sono incompatibili o in competizione”. Tuttavia la Nato vede l’esercito Ue come “un doppione che sottrae risorse, già scarse”.

Il rapporto tra Ue e Alleanza Atlantica nella Difesa divide anche gli stessi Stati europei. Come spiega la professoressa Fortunato “alcuni sono intenzionati a dare all’Unione maggiore autonomia strategica rispetto alla Nato e agli Usa, mentre altri, in particolare i Paesi dell’Est, tendenzialmente guardano alla Nato come l’unico ombrello efficace di protezione e difesa”.

La difesa comune europea e le politiche nazionali dei prossimi anni

Per sviluppare una difesa comune a livello europeo, inoltre, servono fondi e ulteriori investimenti. Una questione che alcuni Stati membri stanno già affrontando. Con la decisione di investire il 2% del pil e 100 miliardi di euro nelle forze armate tedesche, il cancelliere Olaf Scholz ha compiuto una virata storica, mettendo fine a 70 anni di scarsi investimenti. La Polonia porterà la sua spesa militare dal 2% al 3% del pil, mentre Svezia, Paesi Bassi e Belgio sono pronti ad ammodernare i propri arsenali. L’Italia invece intende spendere 13 miliardi di euro in più all’anno per la spesa militare. Con una decisione bipartisan il Parlamento ha infatti approvato un ordine del giorno che impegna l’Italia a incrementare la spesa per la difesa fino al 2% del pil, che attualmente è all’1,41%. Infine, il presidente francese, Emmanuel Macron, presentando il suo programma elettorale in vista delle prossime elezioni presidenziali del 10 aprile ha detto di voler potenziare l’esercito francese per rispondere ad “una guerra di alta intensità che può tornare sul nostro continente”.

L’Unione europea deve intervenire sui processi decisionali comunitari

La debolezza della politica estera europea, secondo la professoressa Fortunato, dipende dal fatto che le decisioni vengono prese all’unanimità dagli Stati membri. Altra criticità è l’esclusione del Parlamento e quindi della componente democratica. Un limite, secondo Pastori, è anche la tradizionale rivalità tra Francia e Germania: “Un motore trainato da due teste non funziona mai veramente bene. Va capito chi conta di più e questo è il grosso punto interrogativo”. Le contrapposizioni tra Stati membri bloccano inevitabilmente le scelte. Fortunato sottolinea che per superare i veti, Borrell ha più volte invitato i Paesi a modifiche costituzionali che consentano di decidere a la maggioranza qualificata, piuttosto che all’unanimità. “Ma gli Stati membri – spiega Fortunato – rimangono dell’idea che la PESC, e in particolare la PESD (la Politica estera e di difesa comune), debbano costruirsi sulla base del consenso unanime”. Una posizione che rischia di ridurre notevolmente la portata dell’esercito europeo ancora prima della sua nascita.