È una giornata grigia e umida fuori dall’Ufficio Immigrazione di via Teofilo Patini, nel quartiere Tor Sapienza di Roma. La pioggia cade a tratti leggera, a tratti insistente, ma in pochi hanno l’ombrello. Davanti all’ingresso c’è un gran via vai di persone. Molti tengono in mano cartelle con fogli e documenti. Tutti guardano verso la grande struttura, in attesa che la lunga fila proceda.
Gli sportelli principali sono solo al piano terra e le sale d’attesa non sono molto spaziose. Quindi nel cortile dell’Ufficio si formano capannelli di persone. C’è chi deve rinnovare il permesso di soggiorno e ha potuto prendere appuntamento dopo due o tre mesi dalla richiesta. E chi invece è qui per la prima volta per fare domanda di protezione internazionale o di altri tipi di permesso. In questo caso, l’unica speranza è venire qui e aspettare nel patio della questura.
Arrivare per primi è l’unico modo per avere una possibilità di entrare. Per questo molti passano la notte qui davanti, come testimoniano tende, cartoni e rifiuti lungo la strada che porta all’ingresso. E se non si riesce a entrare, le notti possono diventare due, tre, quattro, fino a perdere il conto.
Tra attese e porte in faccia
Chi si è ritrovato a vivere questa esperienza non ne parla volentieri. Saif, un iracheno arrivato in Italia molti anni fa, ricorda che la sua prima volta è rimasto a dormire in strada per tre giorni. Oggi la sua vita è diversa, ha una casa e un lavoro. È all’Ufficio per rinnovare il permesso di soggiorno. All’interno sono decine le persone in attesa. “Aspetta qui” e “devi tornare dopo” sono le frasi che più spesso risuonano davanti gli sportelli. Questo aumenta la frustrazione e la tensione, che i dipendenti dell’Ufficio gestiscono come possono.
Lasciare fuori le persone in attesa permette di mantenere una condizione abbastanza tranquilla all’interno. Gli sportelli rilasciano numeretti e le persone vengono chiamate una per volta. Tuttavia le difficoltà rimangono molte: le barriere linguistiche, i dati sbagliati su un documento rilasciato da altri enti, gli attestati che mancano. Rojin, una ragazza curda che ha percorso l’iter tortuoso dell’Ufficio Immigrazione qualche anno fa, ricorda ancora cosa ha significato per lei: “Quando andavo in quell’ufficio, sentivo di essere l’altro, lo straniero: qualcuno di non voluto”, racconta oggi a Lumsanews.
Verso piccoli miglioramenti
Eppure qualcosa sembra cambiato se perfino tra quanti vanno via a mani vuote c’è chi afferma che qualcosa è migliorato. Il servizio di prenotazione pare più efficiente del passato ed è più semplice accedere ad alcuni servizi. Una percezione condivisa tra le associazioni che nella Capitale mediano tra stranieri e pubbliche amministrazioni. Per loro, l’organizzazione è divenuta più razionale soprattutto grazie all’ultimo cambio di dirigenza.
Così la pensa anche Sacaria Areiza, giovane colombiano arrivato in Italia tre anni fa: “La prima volta che sono venuto c’era una fila che girava tutto intorno all’edificio, non si vedeva la fine. C’erano donne con bambini e anche persone anziane. Ma adesso se vedono in fila persone fragili le fanno passare prima”, confida. Cambiamenti che però non bastano, visto che l’emergenza delle notti in strada non è ancora superata.
Secondo il prefetto Rosanna Rabuano, capo del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione, il problema principale è il numero troppo alto di richieste che convergono negli uffici romani. “Roma è un grande polo attrattivo, per tutti. Vengono qui sia gli stranieri che chiedono il permesso di soggiorno per i motivi più vari, sia i migranti che fanno richiesta di protezione internazionale”, spiega. “È vero, tra il 2023 e il 2024 c’è stato un abbassamento complessivo degli arrivi. Ma le persone, anche se poche, entrano in un sistema già sotto stress”.

Un problema esteso anche ad altri uffici
Non si vive solo a Roma il dramma del sovraffollamento e degli accampamenti notturni. A Padova, di fronte alla questura, le condizioni di accesso all’ufficio immigrazione sono state denunciate da associazioni e sindacati. Tra mesi di attesa, comunicazioni vaghe e organizzazione incerta, le persone vivono un forte disagio, ancora più pesante per chi passa la notte in strada. Stessa situazione a Grosseto. Qui l’insufficienza di risorse umane nell’ufficio ha creato una situazione che compromette gravemente il funzionamento del servizio, con disagi che si ripercuotono sull’intero sistema di accoglienza e integrazione.
Recentemente anche a Torino la Cgil ha denunciato con un video le condizioni dei migranti costretti a dormire in strada davanti all’Ufficio Immigrazione in corso Verona. Disagi che sembrano indicare come causa il numero dei dipendenti negli uffici, inadeguato per far fronte alle richieste.
L’importanza delle associazioni
La presenza di realtà sociali di volontariato appare fondamentale. “A Buon Diritto”, “Casa dei Diritti Sociali”, “Progetto Diritti” sono solo alcune delle associazioni che operano a Roma, dove a essere particolarmente sentito è il numero elevato di richieste di protezione internazionale. Questo tipo di domanda è pensato per i profughi, ma spesso viene presentato in Questura anche da chi profugo non è. Con un’opera di mediazione, le associazioni da una parte garantiscono all’Ufficio che le richieste hanno una validità giuridica, dall’altra aiutano migranti e stranieri a scegliere il percorso burocratico più adatto.
L’onlus “Progetto Diritti” propone proprio questi servizi, dando garanzie “sia ai profughi che si rivolgono a noi, sia alla pubblica amministrazione con cui ci interfacciamo”, evidenzia a Lumsanews Cristiana Pelliccetti, coordinatrice dello sportello romano. Un lavoro essenziale anche a livello nazionale: le associazioni cercano di rendere più umano un sistema in cui i migranti rischiano di diventare numeri e sparire nel mucchio di carte e documenti.
L’apporto delle associazioni aiuta, ma non basta. Se questo sistema burocratico dovesse rimanere invariato, si rischierebbe di allontanare ulteriormente chi cerca di regolarizzare la propria posizione, aggravando condizioni di vita già di per sé complesse. Una situazione che richiede un cambiamento radicale, come testimonia la storia di Rojin: “In questi uffici non ti aspetti di essere accolto. Ci vai solo per ottenere dei documenti, perché ne hai diritto. E non è giusto trovare ostilità e prepotenza, come è successo a me. Basterebbe davvero poco: solo un po’ di rispetto umano”.