HomeCronaca Videogiochi, un mercato da 175 miliardi. L’intervista a Francesco Chiarpenello

Videogiochi, un mercato da 175 miliardi. L’intervista a Francesco Chiarpenello

di Andrea Noci16 Febbraio 2022
16 Febbraio 2022

Francesco Chiarpenello è senior analyst di Cross Border Growth Capital, società che ha curato il report “Gaming & Esports”. Dallo studio emerge che il 2020 è stato l’anno del boom per l’industria dei videogiochi, con ricavi a quota 175 miliardi di euro.

Il vostro report Gaming & Esports è uno degli ultimi del settore fatto in Italia. Emerge che a livello mondiale nel 2020 il mercato valga 175 miliardi. Quanto vale invece in Italia?

“Fra i report più aggiornati riguardanti l’Italia troviamo quello di IIDEA, associazione di categoria dell’industria dei videogiochi in Italia. Da questo report emerge che in Italia supera i 2 miliardi di euro”.

Quali sono le principali voci di ricavo?

“È importante sottolineare la differenza tra il mondo dei videogame e quello competitivo degli Esports. Quest’ultimo è molto più piccolo, per quanto in rapidissima crescita. È un mondo in cui gira circa un miliardo di euro in un ecosistema che ne vale 175. Nel mondo delle competizioni il grosso dei ricavi gira attorno alle sponsorizzazioni, un po’ come nel mondo degli sport tradizionali. Le squadre sono seguite da un grosso numero di fan, perciò i grandi brand colgono la palla al balzo e ne sfruttano la visibilità. Invece il mercato del gaming classico è quello di chi compra console e videogiochi. In questa fetta di mercato il grosso è fatto dal software (vendita di giochi in formato digitale) anche perché l’hardware, soprattutto in periodo Covid, ha avuto un po’ di problemi a causa della supply chain in crisi, con la domanda che supera l’offerta”.

Francesco Chiarpenello, senior analyst di Cross Border Growth Capital

Tra i software c’è un settore che sta crescendo di più?

“Sicuramente a livello mondiale, non solo in Italia, quello che cresce più in fretta è il software mobile, quindi tutto quello che è legato al mondo dei cellulari. Perché il cellulare è molto più accessibile a tutti rispetto alle console classiche o ai PC. Un cellulare di fascia bassa riesce ad essere sufficientemente performante per giocare alla maggior parte dei videogame. Questo dato è particolarmente rilevante per i Paesi in via di sviluppo o i paesi BRIC (Brasile Russia India Cina), dove troviamo numeri elevatissimi di “mobile-gamers”. Ecco perché lo smartphone sta diventando la console più diffusa al mondo”.

Oltre all’impatto degli smartphone, ci sono altri motivi per cui il mercato è in crescita?

“Sicuramente la pandemia ha dato una forte spinta a questo settore, ma è comunque un trend che si vedeva già prima. È invece molto interessante vedere i modelli di business che stanno facendo crescere i volumi. Uno di questi è la forza del modello “a subscription”, cioè quello in cui il consumatore paga una fee periodica (ogni settimana, ogni mese, ogni due mesi) per avere accesso a una serie di prodotti tramite in abbonamento. Un modello che già conosciamo per servizi come Netflix o Spotify ma che si sta affermando anche nel mondo dei videogiochi (Google Play Pass, Xbox Game Pass, ecc.). Quindi per accedere ad una serie di servizi, come la possibilità di giocare online o accedere a vasti cataloghi videoludici, è necessario pagare questo tipo di abbonamento. Oppure c’è il modello molto scalabile del “free to play”, nato all’inizio per i giochi di ruolo online (MMORPG), ma che adesso tutte le grandi aziende stanno adottando. In sostanza la casa produttrice del videogame permettere di scaricare gratuitamente il software per poi basare il grosso del fatturato sulle microtransazioni all’interno degli store dei vari giochi”. 

Guardare quante startup nascono può essere un modo per capire la dinamicità di un settore. Da questo punto di vista che succede in Italia?

“In Italia le cose si stanno evolvendo rapidamente, con tutto il comparto startup in forte crescita, e anche nel gaming stanno nascendo realtà molto interessanti: sia case di sviluppo di videogame che i primi veri Team competitivi. Fra queste ultime vediamo Qlash, società che gestisce un gran numero di proplayer, attiva non solo nell’ottica di gaming come competizione, ma anche nello sviluppo di una piattaforma tecnologica in grado di unire tutti gli attori dell’ecosistema. Per cui grazie a loro chiunque può seguire i propri “campioni” nei tornei internazionali, sfidarli in tornei accessibili dall’app e interagire con l’intera community”.

Se volessimo metterci nei panni di un investitore, è un settore in cui ad oggi vale la pena investire e in cui ci può essere un profitto? In che modo?

“È un settore in rapida crescita sotto ogni punto di vista, vale quindi sicuramente la pena essere aggiornati sul mercato e tenerne sotto controllo le opportunità e i trend. È anche sempre più semplice seguire il mercato vista la particolare attenzione mediatica che ha guadagnato il gaming. Qualcosa di impensabile fino a qualche anno fa, quando era ancora visto come un settore “per bambini”. Adesso invece ci si è resi conto che non è così. È un ambito che interessa tutti, che ha un’enorme fan base dietro e attorno al quale girano capitali importanti. Si sono accorti del settore anche i fondi di investimento e gli operatori finanziari. Basti pensare anche alla recente acquisizione di Microsoft che ha comprato Activision Blizzard per quasi 70 miliardi di dollari, una delle più grosse compravendite nel campo dei videogiochi. Tornando alla domanda, ci possono essere ottimi rendimenti intercettando i trend giusti. Questo mercato cambia rapidamente e premia chi lo anticipa o si adatta meglio, siano essi colossi o startup”.

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