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Webtax, una partita da settanta miliardi

di Patrizio Ruviglioni25 Settembre 2019
25 Settembre 2019

Tassare i colossi dell’economia digitale nei paesi in cui fanno profitti, non solo dove hanno la sede fiscale. È la webtax: un’imposta sui ricavi da servizi online attiva in Stati come la Francia, ma in Italia ferma ai decreti attuativi. Nel mirino ci sono gli Over the top: i giganti del web Google, Apple, Facebook e Amazon che offrono servizi in tutto il mondo ma non utilizzano la partita iva dello Stato in cui li erogano. Di fatto, sono “immuni” alla tassazione dello Stato in cui fanno affari, in quanto hanno sede nei paesi europei dove la pressione fiscale è ridotta. Una scelta che costa loro l’accusa di elusione da parte degli altri Stati membri dell’Unione. Con questo nuovo tipo di imposta, per la prima volta, la discriminante non è la presenza fisica di un’azienda in una nazione, ma il vendervi prodotti e servizi pur non avendovi conti registrati.

Il punto è che la webtax non è facile da attuare poiché richiede la convergenza di interessi diversi. “È una priorità dell’Unione Europea, spero in un accordo con l’Ocse”, ha dichiarato lo scorso 16 settembre a La Stampa Paolo Gentiloni, neo Commissario europeo per gli affari economici e monetari, indicando in un accordo internazionale la soluzione più adatta. Ma in attesa di una regolamentazione globale, che tarda ad arrivare, e senza l’intervento decisivo di un’Ue divisa al suo interno, diversi paesi hanno preso provvedimenti da soli.

La posizione dei singoli Stati

Secondo uno studio del Parlamento Europeo del 2016, gli Over the top riescono ogni anno a “eludere” al fisco europeo circa 70 miliardi di euro. Per ovviare a questa situazione, lo scorso luglio la Francia ha approvato un’addizionale del 3% sui ricavi maturati attraverso servizi digitali, per aziende con più di 25 milioni di euro di fatturato sul mercato nazionale e 750 milioni a livello globale. Spagna e Germania tassano al 3% le transazioni digitali; la Gran Bretagna dal 2020 imporrà il 2% sui ricavi online; l’Ungheria applica un’aliquota mobile – dal 5,3% al 7,5% – solo sulla pubblicità online in lingua ungherese. Paesi come Stati Uniti e Cina – invece – hanno interesse a “tutelare gli Over the top”, spiega Alessandro Giovannini, professore di diritto tributario all’Università di Siena. Ma ci sono anche nazioni come Irlanda e Svezia che difendono la fiscalità agevolata, grazie alla quale hanno guadagnato molto in termini economici. Per questo, una webtax internazionale è in stallo.

Webtax all’italiana

“L’esigenza di una webtax nasce con l’espansione della web economy”, sostiene il fiscalista Tommaso Di Tanno. “I colossi della rete non sono tassati perché oltrepassano la dimensione ‘fisica’, mentre il fisco ragiona ancora in questo senso. Dobbiamo superare il concetto di sede fiscale”. Di fronte a questa necessità, l’Italia è stata fra i primi paesi a promuoverla, ma non è riuscita vararla. La proposta originale – risalente al 2013 – dell’allora deputato del Pd Francesco Boccia era riferita alle “transazioni digitali”, e dopo tanti rinvii è stata presentata nella legge di bilancio 2019 come un’imposta sui “servizi digitali”: una tassazione al 3% per le web society che in un anno fatturano almeno 750 milioni di euro, o 5,5 milioni nel territorio dello Stato. Eppure si è arenata ai decreti attuativi: “Aspettiamo l’Unione Europea per il 2020”, aveva annunciato a luglio l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria.

Ora il governo ha inserito di nuovo la webtax fra le priorità: in attesa dell’Unione, ma pronti a farla anche da soli. “Una webtax italiana sarebbe una soluzione tampone, in attesa di un accordo internazionale sui fondamenti del diritto”, puntualizza Di Tanno.

Se fosse diventata legge, la webtax avrebbe prodotto un gettito di 150 milioni di euro nel 2019 e di 600 sia nel 2020 che nel 2021. Per Alessandro Giovannini, regolamentare gli Over the top è quindi “una necessità”. E allora perché tanti rimandi? “In Italia la questione è soprattutto politica. Si parla di webtax per fini propagandistici, ma non la si attua perché significa mettersi contro Stati Uniti e Cina”, spiega. Per Di Tanno, invece, il motivo è tecnico: “È materia molto innovativa, ci vuole tempo per raggiungere un risultato efficiente”.

Le critiche

Ma non tutti sono d’accordo sulla introduzione di questa tassa. Le critiche riguardano la presunta impossibilità, a livello normativo, di delimitare i confini del digitale e la doppia tassazione che gli Over the top si troverebbero ad affrontare. Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform e amministratore delegato di Digital Magics, commenta così la situazione: “Il problema è l’ adozione di una webtax  nazionale. Per noi, come paese, sarebbe troppo rischioso e poco lungimirante. L’unico accordo da stipulare deve essere di carattere europeo, se non addirittura mondiale”, spiega a LumsaNews. “L’Italia è un paese con una tassazione altissima: una webtax nazionale affosserebbe la nostra competitività e la crescita delle piccole e medie imprese che si stanno aprendo al digitale”. E gli Over the top? “Va sempre fatto un ragionamento a livello internazionale. Non è una questione di Google e Amazon: se anche si decidesse di regolamentare Amazon in Italia, Amazon alzerebbe i prezzi e a rimetterci sarebbero sempre le piccole e medie imprese”. L’accordo internazionale è anche la soluzione migliore indicata da Giovannini, per quanto – ammette – “difficilissimo da raggiungere”.

Un accordo internazionale

A questo punto, i tavoli sono due. E nessuno avrà esito scontato. Sul primo si gioca il prossimo 17 ottobre a Washington, dove i ministri delle Finanze del G20 ascolteranno la proposta dell’Ocse. Ma l’influenza di Stati Uniti e Cina “renderà difficile un accordo”, sostiene ancora Giovannini. Poi l’Unione Europea, in caso di disaccordo, potrebbe procedere da sola, seguendo il modello francese. Ma nonostante il Parlamento abbia già incoraggiato gli Stati membri ad approvare una digital services tax con redditi superiori a 40 milioni di euro, per una webtax comunitaria servirà l’unanimità, mentre resta ferma l’opposizione di Irlanda, Danimarca e Svezia. E, in tutto ciò, gli Over the top non collaborano.

Uno stallo senza sbocchi? “Credo che alla lunga la web economy diventerà talmente preponderante sulle altre che la necessità di una webtax verrà percepita anche da quei paesi che oggi gli si oppongono”, sostiene Di Tanno.

Più ottimista Giovannini: “Il punto sarebbe impedire che paesi dell’Unione come l’Irlanda adottino una fiscalità tanto agevolata. Se un accordo mondiale è praticamente impossibile, uno europeo sarebbe un grande passo”.

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