Parole al femminile“Anche Boccaccio usò il termine medica”

Per l’accademico della Crusca Sabatini è necessario che l’orecchio si abitui

Qual è la situazione del linguaggio di genere in Italia?

«Questo è un tema maturo. In Italia se ne parla dai primi anni Novanta grazie al lavoro di Alma Sabatini. Anche se porta il mio stesso cognome , non è mia parente… Tuttavia ho contribuito alla prefazione del suo lavoro, sottolineando l’importanza di usare una terminologia che si riferisse anche alle donne. Nel corso del tempo anche l’Accademia della Crusca ha preso posizione favorevole. Inoltre, anche dei fatti di cronaca hanno reso necessario questo cambiamento… basti pensare alle due “sindache” di Roma e Torino che sono appunto donne. Nonostante si incontri ancora una certa resistenza, credo quindi che ci sia bisogno di utilizzare linguaggio di genere».

Secondo lei, perché c’è ancora questa resistenza?

«Spesso una forma linguistica nuova disturba e genera dubbio linguistico. A volte sono proprio alcune donne a mettere in discussione questo linguaggio relativamente alle professioni; è capitato che alcune professioniste non volevano essere definite “avvocate”, ma “avvocato” proprio per non sminuire il valore della professione».

Quali altri accorgimenti si possono usare nella lingua italiana?  

«Sicuramente gli aggettivi e i pronomi devono rendere chiaro se si sta parlando di una donna. A tal proposito, il giornalismo deve avere il suo ruolo. Nei testi, ad esempio, si devono declinare titoli e participi passati. Importante anche l’utilizzo dei sinonimi».

Questa scrittura detta “inclusiva” è veramente una novità?

«Di questo argomento me ne sono occupato personalmente. Già dal 1300 per delle figure femminili sono stati usati termini simili ad oggi… “Medica”, ad esempio, venne scritto da Boccaccio per una donna che faceva questa professione. Seppur l’utilizzo fosse sporadico, esempi simili si possono rintracciare. Anche la parola “Sindaca” tanto discussa oggi indicava la figura che amministrava i conventi femminili. Fra le suore c’era quindi la sindaca. Ecco alla luce di questo non si vede perché queste forme non si debbano utilizzare oggi. Tengo nuovamente a sottolineare che nei vocabolari storici si incontrano esperienze simili. Seppur circoscritte, ci sono».

In Francia è stato messo a punto un manuale. In Italia ce ne sono?

«Sì, ce ne sono. Oltre al lavoro di Alma Sabatini, ci sono saggi e prontuari. Anche il sito dell’Accademia della Crusca ha prodotto molto materiale su questo tema. Bisogna piano piano prenderne atto e abituare l’orecchio. Se la lingua nasconde e offusca queste forme, passa l’idea che certe professioni non competono alle donne. Questo sarebbe socialmente ingiusto. La lingua non pone ostacoli, ripeto, è solo l’orecchio che deve abituarsi».

Alessio Foderi

Nato a Orbetello nel 1994, cresce nella Maremma Toscana e si trasferisce a Pisa, per frequentare l’università dove, dopo aver trascorso un periodo a Londra, si laurea in traduzione e interpretariato nel Luglio 2016. Oltre le lingue, coltiva molte passioni come la fotografia e il cinema: curioso e determinato, dal 2014 inizia a collaborare con RadioEco.it, prima come blogger e poi come speaker della trasmissione settimanale “Associazioni d’Idee”. Adesso alla Lumsa per inseguire una passione e realizzare un sogno.