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HomeCronaca “Le ronde degli sceriffi social danno l’illusione di sicurezza, ma il web manca di filtri”

“Le ronde di sceriffi social
danno l’illusione di sicurezza
ma il web manca di filtri”

Il sociologo Gioacchino Toni

“Tutto diventa un piacere voyeuristico"

di Elisa Ortuso08 Settembre 2025
08 Settembre 2025
Gioacchino Toni

Sociologo esperto di media audiovisivi

Il caso Cicalone e i risvolti sulla società. Il parere dell’esperto Gioacchino Toni, sociologo e autore di diversi manuali tra cui “Pratiche e immaginari di sorveglianza digitale”, che analizza le forme attraverso cui si manifesta la sorveglianza digitale e il loro impatto sociale.

Influencer come Cicalone sostengono che il loro è un “atto di denuncia”. Secondo lei lo è davvero?

“Bisogna guardare al “caso Cicalone” non per le sue motivazioni. Lui fa delle performance, non si  mette con la telecamera nascosta ma interagisce in maniera evidente con i fatti e i soggetti che va a riprendere. Sarebbe utile domandarsi perché hanno successo queste cose”. 

Quali sono, a suo avviso, le cause? 

“La ragione è da ricercare nella propensione nell’era dei social a farsi notare. Ciò si può fare in due modi: darsi a vedere omologandosi agli altri oppure mostrandosi in situazioni straordinarie. In questo senso il video è il mezzo ideale. Così facendo, però, si genera poi la necessità non solo di catturare l’audience ma di mantenerla perché si crea la logica del ‘più uno’:  in ogni video si deve vedere qualcosa di più straordinario rispetto a quello precedente. Questa dinamica fa risaltare il personaggio agli occhi del pubblico. A ciò si può forse aggiungere che chi guarda partecipa, attraverso la mediazione del video, ad azioni che vorrebbe fare ma non ne ha il coraggio”. 

Qual è il limite maggiore all’azione degli youtuber?

“Se tutti ci comportassimo come Cicalone, diventeremo tutti controllori e controllati. E se questo venisse fatto dallo Stato lo definiremmo una dittatura. Se io voglio, come nel caso specifico, far vedere quanto accade nelle metropolitane, basta fare un video . L’insistenza genera un meccanismo morboso e, a mio avviso, molto pericoloso che rientra poi nuovamente nella logica del ‘più uno’”.

Si può parlare di giustizia privata?

“Al di là di Cicalone, penso che parte del successo di coloro che svolgono queste azioni sia mosso dal pensiero di farsi giustizia da soli giustificandosi con il pensiero che la polizia non fa niente”. 

Questa presenza fa realmente sentire più sicure i cittadini?

“È soltanto un’illusione. Riprendere i furti non mette freno al problema perché i rapinatori si sentono più controllati. Ciò su cui non si riflette tanto è chi trae godimento dal guardare questa cosa. Si tratta di un godere voyeuristico di una esperienza a cui solitamente non sei invitato a partecipare. Ci sono tantissimi canali sul web che vivono di questo”. 

I social network sono il mezzo adeguato per denunciare?

“Secondo me no. Mancano totalmente di filtri ragionati e manca la presa di responsabilità da parte di chi dice le cose. Siamo di fronte a una deregulation totale, poiché

nel mondo dei social tutto è ammesso ed è sempre di più  una sparata continua. È un territorio anarchico: si rischia la querela solo se ad intervenire sono personaggi più noti e seguiti mentre per tutti gli altri è un far west. Serve una norma, ma mi rendo conto che anche fare comporta dei limiti”.

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