Cerco stadio disperatamente. Non è un reality, ma la realtà: il calcio italiano sopravvive così, senza una casa per il suo pallone. O meglio: le strutture ci sono, ma trasudano inadeguatezza nella maggior parte dei casi. Tra impianti fatiscenti e investimenti bloccati, la situazione, in vista degli Europei del 2032, resta precaria.
Serie A, lo stato di salute degli impianti
Sono circa 77 mila le strutture presenti in Italia (dati PwC), ma solo il 24% degli stadi di Serie A e Serie B è di proprietà dei club. Quasi otto su dieci appartengono ancora alla Pubblica amministrazione (Comuni, Coni, Sport e Salute), che incassano un canone per la concessione. Un’eredità che risale agli anni ‘50 e ‘60. Questi impianti non riescono più a soddisfare le moderne esigenze di accessibilità e limitano drasticamente la possibilità di generare ricavi. I dati più recenti (stagione 2023/24) indicano che gli affitti totali incassati dalla Pa per le concessioni degli stadi di Serie A sfiorano i 30 milioni di euro all’anno. Solo quattro club – Juventus, Atalanta, Sassuolo e Udinese (gli unici a disporre di un impianto di proprietà) – evitano questo esborso, potendo incassare la quasi totalità dei proventi da biglietti, hospitality, merchandising e servizi.
Perché le società vogliono stadi di proprietà
Come spiega Carlo Bandini, architetto responsabile di uno dei progetti candidati per il restyling del Franchi di Firenze, “uno stadio moderno sta in piedi solo se lo si vive 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno. Gli impianti sono delle macchine sportivo-commerciali in cui vengono compresi tutti i business collaterali”.
Una visione rafforzata dalle parole di Diego Nepi Molineris, ad di Sport e Salute, il braccio operativo del governo per la gestione degli impianti: “Uno stadio deve generare valore non solo per la squadra, ma per tutto il territorio circostante”.
Oltre la partita: un nuovo concetto di stadio
In sintesi, il concetto di “match day” si è evoluto. Non è più solo l’evento sportivo a fare ricavi, ma l’insieme di esperienze, servizi, ristorazione e contenuti digitali. “Non basta più puntare solo sui diritti tv – aggiunge Nepi – ma bisogna creare ricavi da ticketing, corporate, merchandising, licensing, food & beverage e da tutto ciò che rafforza il legame tra tifosi e brand”. Anche il dg della Fiorentina Alessandro Ferrari sostiene che oggi lo stadio rappresenti un “asset fondamentale per un club che vuole competere ad alti livelli”.
Un vero e proprio cambio di filosofia, che rispecchia quello che – secondo Nepi – sarà il calcio del futuro: sempre più digitale e immersivo: “Lo stadio dovrà integrarsi con l’ecosistema dei dispositivi e diventare parte attiva dell’esperienza del tifoso”. Anche l’approccio architettonico dovrà quindi evolversi: “Non basta vedere il gioco, bisogna sentirlo, viverlo in un contesto tecnologico interattivo”.
Tra pubblico e privato: la sfida degli investimenti
Ma l’ambizione si scontra con la realtà: chi paga? Una strada è quella della collaborazione tra pubblico e privato, che però lascia spazio all’incertezza.
I progetti di ristrutturazione e costruzione di nuovi stadi si fondano principalmente su modelli di partenariato pubblico-privato (Ppp). In breve, i Comuni mettono a disposizione l’area e la concessione a lungo termine; la palla poi passa alle società calcistiche – o a investitori privati – che si occupano dei lavori di costruzione e gestione. Le complicazioni nascono sul piano economico, con il Comune e i privati chiamati a suddividere i ricavi. “Le grandi infrastrutture come gli stadi – spiega Nepi – hanno una funzione privatistica per il club, ma anche pubblicistica per la città: generano valore, promozione, Pil, turismo e indotto”.
Lo sviluppo di uno stadio moderno – prosegue – “deve nascere da una sinergia concreta tra pubblico e privato, in cui il Comune garantisca l’infrastruttura urbana e l’investitore realizzi un impianto completo di tutti i servizi annessi”. In altri Paesi europei, gli stadi si riempiono e si svuotano in cinque minuti grazie a metropolitane efficienti e trasporti straordinari, mentre in Italia “una partita può ancora bloccare intere città”.
Vincoli storici e culturali: il caso del Franchi di Firenze
La sfida intrapresa dall’Italia sui nuovi stadi deve poi fare i conti con le strutture storiche, progettate da grandi architetti come Pier Luigi Nervi per il Franchi di Firenze e il Flaminio di Roma. “Tutto l’edificio, inaugurato nel 1931, è vincolato come manufatto di valore storico e architettonico e come tale non si può alterare o demolire”, dice l’architetto Bandini in riferimento al Franchi. Ecco allora il progetto di restyling per superare l’ostacolo. Riaffiorano però le perplessità sul piano economico. “L’investimento richiede 240 milioni per la riqualificazione – dice Bandini – ma al momento lo stanziamento è di 120 milioni: 60 del Comune e l’altra metà dal Pnrr”. Un deficit che renderà il progetto “zoppo”, conclude l’esperto. Una posizione condivisa anche da Ferrari, vertice del club, che sottolinea gli ostacoli politici e burocratici, a partire dal vincolo storico: “Negli anni sono state presentate più opzioni, dal rifacimento completo del Franchi fino alla presentazione di un progetto restyling ‘più soft, ma la Soprintendenza ha costantemente bocciato ogni nostra proposta”.
Il paradosso di Taranto e il rischio “cattedrali nel deserto”
Senza dimenticare i grandi progetti che incontrano le resistenze dei comitati cittadini. È il caso di Roma: il nuovo stadio del club giallorosso dovrebbe sorgere a Pietralata, ma una fetta dei residenti è contraria. “Si tratta di un’area destinata a parco pubblico, già in sofferenza sul piano urbanistico, in cui arriveranno ulteriori strutture impattanti. Con lo stadio, si andrebbe a gravare sull’ultima zona boscata colpendo l’habitat in cui vivono specie animali e senza possibilità di compensare l’abbattimento di alberi”, spiega Michele Itasaka, coordinatore del comitato “Sì al parco, sì all’ospedale. No allo stadio”. Al contrario, il presidente della Lega Serie A Ezio Simonelli definisce “surreale” la richiesta di bloccare l’iter per un “boschetto di piante selvatiche”. C’è poi Milano, dov’è in gioco il destino di San Siro, con il Consiglio Comunale che ha approvato la vendita dell’impianto a Milan e Inter: un nuovo stadio dovrebbe sorgere nella stessa area e la “Scala del calcio” sarà progressivamente demolita. Ma in Italia c’è uno stadio in particolare su cui puntare i riflettori. Il nuovo Erasmo Iacovone di Taranto, che ospiterà i prossimi Giochi del Mediterraneo nel 2026, sarà dotato di 21 mila posti, spazi commerciali, centri congressi, e perfino alberghi e palestre. Il paradosso? Lo stadio in questione è la casa della squadra della città, retrocessa in Eccellenza.
La necessità di ripensare gli impianti
Un caso, quello pugliese, che dimostra come la riprogettazione di uno stadio debba andare oltre la semplice costruzione dell’impianto. Per Nepi “non servono più cattedrali nel deserto, ma stadi calibrati sui territori e sulle loro reali esigenze”.