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HomePolitica Pasquino: “I giovani vogliono fare politica ma i partiti non esistono più”

Il politologo Pasquino
“Giovani in cerca di politica
ma i partiti non esistono più”

“In passato c’erano sedi, sezioni

e una classe dirigente all’altezza”

di Antonio Fera20 Novembre 2025
20 Novembre 2025

Il politologo Gianfranco Pasquino

Le scuole di formazione politica hanno avuto un ruolo decisivo nella Prima Repubblica. Oggi, in un panorama partitico frammentato e privo di solide identità, possono ancora esistere? Ne abbiamo parlato con Gianfranco Pasquino, politologo e professore emerito all’Università di Bologna.

Professore, come erano strutturate le scuole di formazione politica nella Prima Repubblica?

“La premessa è un’altra: nella cosiddetta Prima Repubblica c’erano i partiti. È perché c’erano i partiti che si potevano costruire scuole di formazione politica. I partiti avevano sedi, sezioni, strutture organizzative e un gruppo dirigente che coltivava la formazione”.

E oggi cosa è cambiato?

“Ora i partiti non ci sono più, tranne il Partito Democratico e forse Fratelli d’Italia. Ma mancano comunque l’infrastruttura e l’identità per costruire scuole politiche. Si fanno eventi autoreferenziali, presentazioni di leadership e autocelebrazioni, ma non c’è insegnamento vero. Non esiste la base su cui costruire quel tipo di formazione”.

Non ci sarebbero né docenti né studenti?

“Esatto. Le scuole di partito del passato avevano insegnanti competenti: parlamentari, sindaci, amministratori che conoscevano la politica per esperienza diretta. Oggi è difficilissimo trovare quel corpo docente. E le idee, o persino le ideologie, sono evaporate. Nella Prima Repubblica c’erano riferimenti intellettuali precisi. Oggi abbiamo una prospettiva sovranista, che Giorgia Meloni declina un giorno sì e uno no, e una prospettiva europeista che il Pd declina male e in modo contraddittorio”.

E un giovane interessato alla politica oggi da dove dovrebbe partire?

“Dalla formazione personale. Servono competenze: diritto, scienza politica, un po’ di filosofia. Senza queste basi non si farà mai buona politica. Poi occorre iniziare dal basso, partecipare a ciò che esiste nei territori e sperare di incontrare qualcuno che abbia competenze e voglia di insegnare”.

I rischi che la formazione diventi fanatismo verso un leader più che cultura politica sono reali?

“Non direi. Non vedo figure accademiche o politiche che stiano costruendo un seguito personale all’interno delle scuole di partito. Il problema vero non è il culto del capo: è che manca il contesto. Senza un ambiente politico solido non nasce una formazione solida”

E se si ripartisse dalla partecipazione dei giovani a livello locale?

“Sì, è l’unico spazio realistico. Ci vorrebbero luoghi di incontro nelle città, anche non necessariamente grandi, dove persone motivate si riuniscono, invitano esperti e avviano percorsi di formazione. La politica nasce comunitaria”.

C’è il rischio che i giovani impegnati in politica vengano confinati nelle giovanili, senza vera integrazione nel partito dei grandi?

“A volte accade. Ma se un giovane viene valorizzato, allora deve fare la sua parte: coordinare coetanei, coinvolgerli, creare attività politica. La cooptazione è essenziale. Non basta essere ‘il giovane del partito’: bisogna costruire una rete e contribuire alla crescita del gruppo”.

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