La dottoressa Rassa Ghaffari.

"Aprire all'istruzione femminile è stato un puntodi forza dell'Iran "

Rassa Ghaffari a Lumsanews "L'ascensore sociale è il matrimonio"

Rassa Ghaffari è dottoressa di ricerca in Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. È stata ricercatrice presso l’Università di Oslo e ha trascorso diversi mesi di ricerca sul campo a Teheran. È autrice dell’articolo “L’accesso femminile all’istruzione superiore in Iran: cambiamenti strutturali e ruolo della path dependency”. A Lumsanews ha parlato dell’istruzione e della cultura in Iran.

Come funziona il sistema scolastico iraniano?

“Dal 1979 fino all’82 c’è stato un periodo della storia iraniana che definiamo Rivoluzione culturale in cui il nuovo stato si è fatto carico di riformare, posizionare e trasformare tutto il sistema scolastico andando a depurare il corpo insegnanti e i programmi che non erano considerati adatti alla Nuova Repubblica. In Iran ci sono scuole maschili e femminili. Distinzione che viene meno all’università, dove uomini e donne studiano insieme, anche se in alcuni luoghi come la mensa devono accedere separatamente”.

Come viene regolato l’accesso all’istruzione?

“L’Iran è una delle repubbliche islamiche che ha garantito l’accesso universale e pubblico all’istruzione. Diciamo che un po’ le cose sono cambiate, ma la repubblica Islamica può vantare un sistema molto capillare e soprattutto gratuito che è sempre stato un punto di forza”.

Per quale motivo lo Stato ha voluto rifondare il mondo dell’istruzione?

“Perché uno degli obiettivi era costruire una nuova nazione e per farlo era necessario educare nuovi cittadini. Ovviamente il tramite della crescita dei futuri cittadini sono le donne. È una retorica basata sul concetto che educando le donne, esse, a loro volta, sarebbero state capaci di educare i loro figli come nuovi cittadini. Aprire all’istituzione femminile è stato uno dei punti di forza dell’Iran”.  

Nonostante l’alta percentuale di alfabetizzazione, i dati che vedono le donne come forza lavoro sono al 14%, per quale motivo?

“L’istruzione non serve necessariamente per trovare lavoro. In un sistema economico in crisi come quello iraniano viene data precedenza al maschile per un fattore sociale e culturale. Nella famiglia islamica è l’uomo che deve portare avanti la famiglia. Per molte famiglie l’istruzione delle figlie serve anche per garantire un matrimonio migliore”.

Che idea si è fatta sui casi di avvelenamento?

“L’informazione è talmente scarsa e manipolata che non mi azzardo a fare supposizioni. Non mi azzardo neppure a creare delle teorie, ma sono particolarmente convinta che non ci sia il governo dietro a questi avvenimenti. Credo che sia piuttosto un atto di propaganda. Anche se con l’ultimo governo abbiamo una legittimazione di alcune fazioni interne al sistema abbastanza fondamentaliste e radicali che vorrebbero una restrizione dei diritti delle donne e dell’istruzione”.

C’è, secondo lei, un legame tra proteste e avvelenamenti?

“Sicuramente c’è un legame con le proteste perché siamo in un periodo di forte rottura tra il popolo e la politica. Quindi in questo senso vedo la connessione, però personalmente non mi sento di appoggiare quelle teorie secondo cui appunto il governo è sotto ordine del Presidente della Repubblica o della guida suprema. Mi sembra molto improbabile”.

 E lei come legge il fatto di attaccare la cultura?

“Sicuramente la crisi politica è anche il frutto di un lavoro che la repubblica islamica ha avviato. Educare le nuove generazioni a pensare in termini rivoluzionari, quindi le nuove generazioni sono abituate a pensare in termini di diritti. Quello a cui stiamo assistendo ora è un collegamento diretto del contesto in cui è nata la Repubblica islamica. Attaccare la cultura potrebbe significare attaccare le cause che hanno portato alle manifestazioni a cui assistiamo oggi. Significa attaccare quel posto in cui le giovani generazioni si stanno formando”.

Cosa si intende per path dependency?

“Come il corso della storia abbia un’influenza sulle persone che la vivono. In relazione all’alfabetizzazione si tratta dell’investimento del regime sulla cultura che però ha portato a conseguenze paradossali come gli episodi che stanno avvenendo e la morte di Masha Amini può essere considerata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. È sbagliato considerare quello che sta succedendo come qualcosa di improvviso, ma è il frutto di un percorso iniziato parecchio tempo fa. Dal 1979 in poi il regime ha spinto le nuove generazioni a pensare in termini rivoluzionari e di salute sociale, quindi le nuove generazioni, in Iran, sono consapevoli dell’importanza di combattere per i propri diritti”.

 Come legge il blocco della rete, dopo lo scoppio delle proteste?

“L’accesso a Internet è stato ristretto, non è stato totalmente bloccato. Inoltre la maggior parte delle persone sono in grado di procurarsi un VPN, una rete privata virtuale che si pone tra l’uomo e Internet. Sicuramente è molto influente come canale di mobilitazione. Gran parte dei manifestanti comunicano tra di loro tramite canali social, sia per alimentare le manifestazioni sia per mostrare all’estero ciò che sta succedendo e richiedere l’attenzione della comunità internazionale”.

Giulia Mutti

Nata in Toscana, lì dove le Apuane si affacciano sul mar Tirreno, sono laureata in Lettere all’università “La Sapienza” di Roma. Nella città eterna, ho maturato interessi in campo letterario e giornalistico, strade che ho scelto di seguire con perseveranza e dedizione. Appassionata, da sempre, di temi di attualità e politica, ritengo che i fatti, di per sé, non esistano senza le motivazioni e i sentimenti degli uomini che li governano.