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Baby gang, se la criminalità minorile spaventa lo Stato

di Maria Sole Betti20 Settembre 2023
20 Settembre 2023
Baby gang

Sono giovani, sfrontati e violenti. Italianissimi e non, talvolta di seconda generazione. Alcuni si fanno chiamare maranza. Altri agiscono in branco tra atti vandalici, risse e persino stupri di gruppo. Obbiettivi poco precisi, ma una sola certezza: non essere idonei al regime detentivo. Sono i ragazzi delle baby gang, gruppi di adolescenti votati al crimine che da qualche anno monopolizzano le storie di cronaca.

Un fenomeno che rimbalza di regione in regione, con protagonisti giovani di una generazione che segue esempi sbagliati. E che da Milano a Parco Verde, passando per Palermo, allarma il governo guidato da Giorgia Meloni al punto da rendere necessaria una stretta sulla criminalità giovanile attraverso il cosiddetto decreto Caivano. Un tentativo di rispondere a quelle “fratture culturali” recentemente denunciate dal New York Times e alle difficoltà di integrazione sociale, che, come sottolineato da esperti e parte della politica, si teme risulterà non risolutivo.

Aumentano reati minorili e azioni in branco

Secondo i dati della Direzione centrale della polizia criminale, lo scorso anno i delitti commessi da minori sono aumentati di oltre il 14% rispetto a prima della pandemia. A catturare l’attenzione è però l’aumento dei reati minorili di gruppo, quelli delle baby gang, realtà “definite dalla psicologia con il termine branco”, spiega a Lumsanews Cinzia Panimolle, psicologa dell’età evolutiva. “Il contesto del gruppo per definizione rafforza il pensiero e l’azione del singolo, che spesso essendo in cerca di approvazione esterna, segue tacitamente l’input del leader con cui si identifica, con conseguenze atroci”, ha sottolineato Panimolle.

Ecco perché spulciando nel report 2022 elaborato da Transcrime ,centro di ricerca sulla criminalità transnazionale, emerge quanto le baby gang  ̶  nella sua composizione tipica di dieci ragazzi con un’età media compresa tra i 15 e i 17 anni  ̶  siano largamente presenti nel nostro Paese. Una realtà declinata in varie sfumature, ma in cui prevalgono minori italiani che infieriscono con estrema brutalità sui coetanei pur non avendo una vera e propria organizzazione. Niente a che vedere con reati di altra gravità commessi dalle gang ispirate o collegate alla criminalità organizzata, più diffusi al Sud ma numericamente vicini.

A destare preoccupazione sono però anche i gruppi di ragazzi stranieri di prima o seconda generazione, statisticamente più diffusi nelle aree urbane del centro Nord. Un fenomeno che prende le mosse dagli scontri tra gang criminali estere, come le pandillas sudamericane ormai operanti anche in Italia. Ma che sempre più spesso guarda alle scorribande dei gruppi delle banlieue francesi, delle quali Milano è un’ottima testimone.

Furti, intimidazioni e aggressioni in branco ai danni di chiunque per il solo gusto di farlo. La matrice è semplice: troppo diversi per essere italiani, troppo italiani per essere stranieri. Una mancanza di integrazione che, nei fatti, fa percepire ai giovani di seconda generazione di non essere parte di alcun contesto. E che inevitabilmente sfocia in circuiti di violenza tra autoesaltazione, rancore, orgoglio etnico e assenza di alternative.

La stretta del governo, tra crisi della giustizia minorile e “populismo penale”

Palazzo Chigi ha deciso di rispondere a tutto questo con un provvedimento “tolleranza zero”, inasprendo le misure previste per i minori di 18 anni. “Il decreto Caivano  ̶  illustra Lucio Camaldo, docente associato di Diritto processuale penale minorile all’Università degli Studi di Milano  ̶  introduce interventi di modifica delle misure cautelari e precautelari. Non si tratta di un aumento delle pene, ma di una estensione dell’applicazione delle misure che incidono sulla libertà personale anche per reati di minore gravità”.

Una stretta con cui “lo Stato fa vedere la sua presenza e interviene in modo repressivo contro fatti gravi al limite dell’atroce”, ha detto recentemente il ministro della giustizia Carlo Nordio. Ma che, secondo il professore, “desta preoccupazione: si tratta di un settore molto delicato che incide sui diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione, ancora di più nel caso dei minori. Il carcere dovrebbe essere quindi l’ultima soluzione”, ha spiegato Camaldo.

Il cambio di passo è, però, presto spiegato, basti considerare il fatto che la disposizione è stata approvata sull’onda emotiva delle violenze di Parco Verde. In questo senso il Dl Caivano conferma − secondo Michele Miravalle, ricercatore in filosofia e sociologia del diritto e membro dell’Osservatorio Minori di Antigone − una linea molto cara alla maggioranza, “quella del populismo penale, già adottata nel caso dei rave e del traffico di migranti”. Il decreto Caivano, infatti, “ha il solo merito di rispondere alla pancia del paese con il pugno di ferro. Un tentativo di dare risposte semplici ma inappropriate, con un effetto perverso sul sistema penale”, ha concluso Miravalle.

Il pugno duro che punisce senza rieducare

Oggi il sistema di giustizia minorile italiano fa un ricorso residuale alla detenzione degli adolescenti, preferendo, invece, misure alternative. Un modello che permette di mantenere un tasso di detenzione minorile basso e che rende determinante il lavoro di recupero e riscatto di adolescenti problematici.

I giovani delle baby gang sono “molto più avanti rispetto ai minori di qualche anno fa”, evidenzia Armando Compagnone, coordinatore degli educatori al centro minori maschile di San Patrignano. “Fanno della delinquenza un vanto, agendo in maniera così atroce da essere perfettamente consapevoli delle loro azioni”, aggiunge Panimolle. Anche per questo “in alcuni casi l’intervento punitivo può essere la strada da seguire. L’individualità del caso e l’intento rieducativo  ̶  continua la psicologa  ̶  devono, però, sempre essere la via maestra da percorrere così da arrivare a un giusto recupero”.

Una sorta di affrancamento sociale obbligato, funzionale in futuro alla pacifica convivenza tra cittadini. Perché, nonostante l’efferatezza dei crimini, gli esperti  ̶  incluso il Garante per l’infanzia e l’adolescenza  ̶  concordano sul fatto che l’inasprimento delle pene può aggravare, e non sanare, il percorso di devianza. Il dl Caivano, al momento, oltre che dividere, sembra, però, responsabilizzare i genitori. “Improvvisamente stiamo ricevendo centinaia di chiamate per inserire a scuola i figli”, sostiene Anna Florio, educatrice del Centro Hurtado di Scampia.

Eppure, tra strette normative, richieste di preservare il sistema minorile e polemiche, il fenomeno della criminalità giovanile resta un’emergenza che forse richiede decisioni, oltre che politiche, socioculturali. Scelte che portino ad un cambio di quella mentalità alla “o gli sparo o mi spara” che rischia di tenere intrappolati i ragazzi in un loop di criminalità.

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