Angela Palomba, medico specialista e ricercatrice in Medicina fisica e riabilitativa, da anni collabora con la Federazione italiana sport paralimpici degli intellettivo relazionali (Fisdir). A Lumsanews, racconta la sua esperienza nell’ambito degli sport inclusivi, spronando le famiglie dei ragazzi con disabilità ad abbracciare i benefici dell’attività fisica: “Ai genitori suggerisco sempre di provare. Spesso quel primo passo apre la strada a un percorso bellissimo”.
Conosce la storia degli Acilia Red Foxes, guidati da Giuliano Bufacchi?
“Sì, conosco molto bene Giuliano e i suoi atleti. Abbiamo condiviso diverse trasferte con la Nazionale Fisdir (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali, ndr), per campionati europei e mondiali. Questo mi ha permesso di vedere da vicino il lavoro straordinario che svolge l’allenatore con la sua squadra, la passione che mette e il clima di fiducia che riesce a creare con i suoi atleti. Il progetto degli Acilia Red Foxes è un bellissimo esempio di come lo sport possa diventare un luogo di crescita, autonomia e relazione. È una realtà sportiva che rappresenta perfettamente lo spirito inclusivo che lo sport dovrebbe sempre promuovere, un ambiente sereno, motivante, dove ogni atleta si sente valorizzato”.
In che cosa consiste la sua collaborazione con la Fisdir?
“Nel 2017 abbiamo intrapreso con la Federazione un progetto di valutazione funzionale in atleti con disabilità intellettiva che ci ha permesso di comprendere meglio le funzionalità e ottimizzare le performance degli atleti coinvolti. Da allora collaboro come medico di squadra nazionale, fornendo assistenza durante le gare e le trasferte internazionali. È un lavoro che richiede competenze cliniche ma anche molta presenza sul campo, per supportare lo staff tecnico e gli atleti nelle esigenze che possono emergere prima, durante o dopo le gare. Al di là degli aspetti clinici, condividere con loro emozioni, paure e successi nelle competizioni più importanti è una parte fondamentale del mio ruolo”.
Quali sono i principali benefici che lo sport può avere nei ragazzi con la sindrome di Down?
“L’attività fisica strutturata migliora l’equilibrio, la postura, la forza e la resistenza, porta vantaggi sulla composizione corporea e aiuta anche nella motricità più fine. Ma non si tratta solo di aspetti fisici: lo sport aumenta l’autonomia nella vita quotidiana, favorisce l’autostima e ha un impatto significativo sulla qualità di vita. È uno strumento potente che agisce su più livelli, e i dati scientifici confermano ciò che vediamo ogni giorno sul campo”.
Ci sono sport particolarmente indicati o sconsigliati?
“Dopo un adeguato screening medico, necessario soprattutto per escludere condizioni potenzialmente rischiose come l’instabilità atlanto-assiale, non esistono sport che siano realmente vietati o da evitare. La scelta dipende molto dalle preferenze del ragazzo, dalla sua motivazione e dal contesto sportivo che lo accoglie. Ho visto atleti con sindrome di Down eccellere in tutti gli sport. Con una preparazione adeguata e un ambiente competente, praticamente tutte le discipline possono essere praticate in sicurezza”.
Quali attenzioni particolari devono avere genitori e allenatori?
“Le attenzioni necessarie non vanno viste come limitazioni, ma come buone pratiche. È importante mantenere controlli medici regolari, assicurarsi che l’idoneità sportiva sia sempre aggiornata e che l’ambiente sia preparato ad accogliere gli atleti. Gli allenatori che lavorano in Fisdir sanno utilizzare una comunicazione efficace, impostando una progressione graduale negli allenamenti e costruendo routine chiare e rassicuranti. Il lavoro migliore si fa sempre in squadra, condividendo informazioni e obiettivi. D’altra parte, la famiglia aiuta a testimoniare i miglioramenti soprattutto in termini di autonomia e a trasferire i benefici dell’attività sportiva nella vita di tutti i giorni”.
Come si trova a lavorare con atleti con sindrome di Down?
“È un’esperienza che arricchisce profondamente. Sono atleti che portano in campo una grande capacità di fare gruppo, un entusiasmo contagioso e una serietà che spesso sorprende chi non li conosce. Hanno una determinazione genuina, una gioia nell’allenarsi che rende più bello il lavoro di tutti. Ogni volta che torno da una competizione mi porto dietro qualcosa che ho imparato da loro”.
Cosa direbbe a una famiglia che ha paura di iscrivere il figlio con disabilità a uno sport?
“Direi innanzitutto che la paura è normale, soprattutto quando ci si trova di fronte a qualcosa di nuovo, ma spesso queste preoccupazioni nascono da informazioni incomplete o errate. Dopo una valutazione medica accurata, lo sport è uno degli strumenti più efficaci che abbiamo per migliorare salute, autonomia e benessere nei ragazzi con sindrome di Down. Lo sport permette di stringere nuove amicizie, aumenta la sicurezza in sé, dà la possibilità di sentirsi parte di un gruppo e aiuta a scoprire capacità che magari non ci si aspettava. Ai genitori suggerisco sempre di provare: spesso quel primo passo apre la strada a un percorso bellissimo, per il ragazzo ma anche per tutta la famiglia”.


