HomeCronaca Boss scarcerati, Lirio Abbate: “Riina curato in carcere meglio che a casa”

Boss scarcerati per il Covid
"Un rischio mandarli a casa
lì non hanno cure migliori"

Lirio Abbate sul caso Bonafede-Di Matteo

"Servono chiarimenti su nomina del Dap"

di Diana Sarti12 Maggio 2020
12 Maggio 2020

Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha dovuto illustrare in una informativa alla Camera la nomina, avvenuta nel 2018, del magistrato Francesco Basentini a capo del Dap. Divenuta un caso dopo le accuse del consigliere togato del Csm Nino Di Matteo. Lumsanews ha intervistato Lirio Abbate, giornalista investigativo e vicedirettore de l’Espresso, per ragionare sul dl voluto dal Guardasigilli e sulla discussa scarcerazione dei boss mafiosi, indotta dall’emergenza Coronavirus.

376 esponenti della criminalità organizzata, alcuni dei quali detenuti al 41bis, sono stati scarcerati per motivi di salute e mandati agli arresti domiciliari. È un rischio?
“Bisogna stare attenti al rispetto e alla tutela della salute del detenuto. Se c’è un pericolo è giusto che lo Stato intervenga e metta il detenuto in sicurezza. Se però tutti quanti improvvisamente erano cosi gravemente ammalati o in pericolo di vita, bisogna chiedersi se c’è qualche cosa che non va dentro le già scarse strutture penitenziarie e intervenire. È un ritorno dei mafiosi sul loro territorio. Possono continuare a influenzare scelte e azioni criminali che proprio in questo momento non ci possiamo permettere di incentivare”.

Le carceri in Italia sono dotate di strutture ospedaliere in grado di gestire detenuti così pericolosi?
“Le strutture cliniche ci sono. Si tratta di capire se hanno la disponibilità o se sono già piene. Se però parliamo di 41bis, va sottolineato che i detenuti sono già in isolamento e non hanno contatti con nessuno. Quindi non è chiaro come dovrebbero contrarre il Covid-19”.

Se Pasquale Zagaria, boss dei Casalesi, ha gravi problemi di salute come è possibile che venga curato a casa?
“Vediamo nel passato cosa è successo. Faccio sempre l’esempio di Salvatore Riina, capo di Cosa Nostra. Lui è rimasto detenuto in carcere fino al giorno della sua morte. È stato ricoverato per oltre un anno e mezzo in una struttura clinica, ricevendo ogni giorno cure mediche migliori di quelle che avrebbe potuto avere a casa. È accaduta la stessa cosa con Bernardo Provenzano, esponente importante di Cosa Nostra e anche con altri boss di ‘Ndrangheta e Camorra. I centri clinici penitenziari ci sono. Chi sta male può essere curato in queste strutture penitenziarie senza necessariamente lasciare il carcere e andare a casa agli arresti domiciliari. Quest’ultima è una misura estremamente rara e difficile da ottenere per chi è condannato per reati di mafia. Chi di questi è condannato definitivamente, per legge non ha pena alternativa al carcere”.

Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede

Parliamo del decreto legge Bonafede. I giudici di sorveglianza dovranno rivalutare la detenzione domiciliare. Sarà un provvedimento efficace? Non c’è il rischio di minare l’indipendenza della magistratura?
“Questo decreto è una pezza che non consentirà di riportare totalmente in carcere le persone che giustamente, su provvedimento dei magistrati, sono state scarcerate. L’autonomia e indipendenza dei magistrati non si può toccare. Dai primi di maggio, da quando si è dimesso l’ex capo del Dap Francesco Basentini, fino ad oggi, con i nuovi interventi, solo una persona è stata messa ai domiciliari. L’emorragia delle uscite di prigione è stata interrotta. Questo significa che anche prima volendo, se le linee guida del Dap fossero state diverse, con più attenzione non ci sarebbero state tutte queste scarcerazioni. Non occorreva un decreto, bisognava soltanto fare attenzione”.

Secondo lei dopo le dimissioni del capo del Dap Basentini, anche Bonafede dovrebbe compiere un passo indietro per come ha gestito la situazione?
“Forse il ministro è stato distratto su questi argomenti oppure non gli sono stati rapportati bene. Chi gestiva il Dipartimento di amministrazione penitenziaria magari non riteneva opportuno informarlo di quello che accadeva e quindi lui non era al corrente delle situazioni di emergenza. Per cui non ha potuto o non è riuscito a intervenire in tempo reale in questa vicenda”.

Il consigliere del Csm Nino Di Matteo

Cosa pensa delle accuse dell’ex pm Nino Di Matteo nei confronti di Bonafede?
“Entrambi devono chiarire quello che è successo. Soprattutto il ministro in merito alla retromarcia compiuta sulla proposta che lo voleva a capo del Dap. Bisogna capire perché nell’arco di 24 ore ha cambiato idea, scegliendo un magistrato che arrivava dalla Procura di Potenza anziché Di Matteo, che ha esperienza nell’affrontare la criminalità organizzata”.

Sul sovraffollamento delle carceri è d’accordo con l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, che chiede una depenalizzazione per ridurre il numero dei reati?
“L’80% della popolazione dei detenuti è formata da stranieri accusati di reati come furto o spaccio di droga. È un discorso politico. Sono d’accordo sulla depenalizzazione perché potrebbe portare a un alleggerimento. Ma in passato la scusa del sovraffollamento delle carceri ha portato solo a creare commissioni e un piano di emergenza. Decine di milioni di euro poi finiti in consulenze e progetti finalizzati a nuove carceri, poi mai realizzate. Il sovraffollamento è un problema che va risolto. Ma è un problema soprattutto per i detenuti comuni. Ben diversa invece è la situazione dai 41bis in cui non c’è sovraffollamento, ognuno ha la sua cella”.

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